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Tags Archives: gestirestress

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Sono in vacanza ma non so come rilassarmi: come staccare la spina

Come staccare la spina quando si è in vacanza? Sai come rilassarti?

Non per tutti le vacanze sono sinonimo di relax, recupero e divertimento; anzi, per molti il periodo delle vacanze può diventare fonte di vero e proprio stress.

Quando siamo stressati tendiamo a trascurare e a sottostimare le attività che potrebbero farci stare meglio, con il rischio di accrescere ulteriormente la nostra condizione di malessere.

Ciò che facciamo durante le nostre giornate ha il potere di influenzare enormemente il nostro benessere, e quindi, la qualità della nostra vita: ogni giorno compiamo decine e decine di scelte che hanno un impatto diretto sul nostro benessere e su quello delle persone intorno a noi.

Ogni giorno scegliamo, ad esempio, cosa mangiare, come vestirci, come utilizzare il tempo libero, se dedicarci ad un’attiva sportiva oppure no, se leggere un libro piuttosto che guardare la televisione, se trascorrere tempo sui social, anziché dedicarsi ad un proprio progetto.

Malessere e disagio sono spesso conseguenze delle scelte che noi agiamo, la maggior parte delle volte sulla base di abitudini, comportamenti automatici che mettiamo in atto, anche se questi nuocciono al nostro benessere psicofisico.

Possiamo, infatti, non renderci conto di non dedicare tempo a sufficienza per il riposo, di sacrificare i progetti che in realtà ci appassionano e danno senso alle nostre giornate, di trascurare i segnali di stanchezza che il nostro corpo ci manda.

Come fare, quindi, ad agire delle scelte per favorire il nostro benessere ed evitare che la vacanza diventi un ripetersi di malsane abitudini?

Non sai come rilassarti? Allora concentrati sul far fallire la tua vacanza!

Effettivamente potremmo non sapere come rilassarci e staccare la spina, perché magari non abbiamo mai prestato attenzione a questa cosa e potremmo avere difficoltà a capire cosa fare: come afferma un antico stratagemma orientale “se vuoi imparare a raddrizzare una cosa impara prima come storcerla di più” (cfr. Nardone (2003), Cavalcare la propria tigre; Nardone & Balbi (2017), Solcare il mare all’insaputa del cielo).

Pertanto, potremmo effettivamente non sapere cosa fare per rilassarci in vacanza: un buon punto di partenza, a tal proposito, potrebbe essere quello di sapere tutto ciò che potrebbe peggiorare ulteriormente la nostra situazione in vacanza, rendendola un vero incubo.

In tal caso, potrebbe tornarti utile una tecnica molto utilizzata nelle terapie brevi strategicamente orientate ovvero la tecnica del come peggiorare:

Se volessi deliberatamente peggiorare la tua situazione in vacanza, farla fallire, cosa dovresti fare o evitare di fare, dire o evitare di dire, pensare od evitare di pensare, se volessi stressarti ancora di più anziché rilassarti?

Questa tecnica (che ha una precisa utilità e finalità all’interno del contesto terapeutico, ma che in questo caso possiamo utilizzare per aiutarci a cambiare la prospettiva da cui guardiamo la situazione) ti impone di cambiare punto di vista. Ti impone di non concentrarti su quello che dovresti fare per rilassarti ma su tutto quello che dovresti fare per boicottarti. Porterà alla luce tutte quelle cose che magari stai già facendo e che ti impediscono di riposare, di recuperare le energie e che, al contrario, te le stanno togliendo.

Non sai come rilassarti? Dovrebbe accadere un miracolo!

Un altro passo che potresti attuare per imparare a fare delle buone scelte che rendano la tua vacanza un momento di relax è sicuramente quello di immaginarti in uno scenario senza il problema, in cui riesci finalmente a rilassarti e a staccare la spina.

In questo caso, può risultare utile e possiamo prendere in prestito la tecnica della domanda del miracolo (De Shazer, 1988), intervento principe nella terapia breve centrata sulla soluzione. Questa domanda può aiutarti a concentrarti in maniera concreta e dettagliata sullo scenario desiderato:

Immagina che domani tu ti sveglierai e starai vivendo la vacanza dei tuoi sogni, quella in cui potrai finalmente rilassarti. Quale sarà, svegliandoti, la prima cosa che noterai che ti farà dire che è così? Quali sono le cose che farai che ti diranno che ti stai rilassando? Che cosa ci sarebbe? Che cosa non ci sarebbe più? Cosa faresti? Cosa non faresti più’?”

Individuati tutti i comportamenti, in maniera dettagliata e concreta, inizia a metterli in pratica attraverso dei piccoli passi….e buona vacanza!

Serve un aiuto in più? Puoi sempre chiedere una consulenza gratuita agli Psicologi di One session.it: puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)

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Concedersi una pausa

Hai mai ragionato sull’importanza di concedersi una pausa, o tendi a farti trascinare solo dal flusso dei doveri? In questo articolo analizzeremo perché è fondamentale concedersi una pausa, e una strategia utile per riuscire a farlo!

Organizzando la giornata in blocchi di pensiero focalizzato, intervallati con pause di «spegnimento» del cervello, si permette alla mente di operare in modo più efficiente.

(Jenny Brockis)

Cultura del non stop vs salute mentale

E’ mattina, suona la sveglia, apri gli occhi e già pensi a tutto quello che dovrai fare durante la giornata. Andare a lavoro, sbrigare faccende di ordine quotidiano, appuntamenti, spese, gestione della casa, della famiglia. E’ mattina, suona la sveglia, apri gli occhi e sei già stanco/a.

La società moderna ci ha abituato a correre, a destra ed a sinistra, avanti e indietro. Un criceto che non si arresta mai sulla sua ruota. La cultura del “non-stop”: il tempo è denaro e chi non fa attivamente qualcosa sta “sprecando” il denaro o non lo sta generando bene.

Il lavoro, a volte, può essere impegnativo e se vi affannate ora dopo ora, è probabile che questa fatica vi costi più della produttività; così ciò prima sembrava produttivo, a lungo andare potrebbe rivelarsi distruttivo.

Quando si spendono tantissime energie sul lavoro e sugli impegni quotidiani, si può essere assaliti dalla sensazione di avere troppe cose da fare, ed è facile convincersi di non avere il tempo di potersi concedere delle pause.

In realtà, bisognerebbe trovare il tempo per tutto. Del resto, anche la vita insegna che esistono tempi per seminare e altri per raccogliere. Così è necessario sapersi concedere una pausa, fermarsi, riflettere, ritagliarsi del tempo anche per se stessi.

Trovare momenti lontani dallo stress è fondamentale per la salute del nostro cervello “Mens sana in corpore sano”. Negando al cervello delle pause diminuiamo la capacità di pensare in modo creativo e strategico nella gestione di problemi complessi. La nostra mente pensa più chiaramente quando si ferma per qualche istante, quando si concede di lasciare scendere quel criceto dalla sua ruota.

 I benefici del concedersi una pausa

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che un cervello, se costantemente stimolato e se non riesce a rilassarsi, finirà per sovraccaricarsi, iniziando a commettere degli errori. La produttività nello svolgere un determinato compito, è direttamente correlata al livello di concentrazione che riusciamo a mantenere mentre lo svolgiamo.

Per dare il meglio di sé, è necessario avere del tempo libero, e non solo per le vacanze. Chi riesce a concedersi un momento di riflessione o di meditazione, e lo fa quotidianamente, è più rilassato e più produttivo nel corso della giornata.

In uno studio (Bennett, et al. 2020) è stata valutata l’utilità di prendersi o meno delle pause durante le attività utilizzando un disegno sperimentale in un ambiente di lavoro simulato. I loro risultati hanno mostrato come tutte le condizioni di pausa hanno giovato non solo a ricaricare l’energia, ma anche a migliorare l’ attenzione, aiutando le persone a riprendersi completamente.

Concedersi delle pause ha un effetto benefico sul nostro stato d’animo, sul benessere generale e sulla capacità di rendimento “Mens sana in corpore sano”. Staccarsi regolarmente dalle attività lavorative, sia durante la giornata lavorativa che nelle ore libere, può aiutare a recuperare le energie a breve termine, e a prevenire il burnout a lungo termine. Concentrare l’attenzione per troppo tempo, saltare i pasti, pranzare mentre si lavora, può a lungo termine logorare.

Una strategia per gestire al meglio le pause: la tecnica del pomodoro!

Può essere che tu ne abbia già sentito parlare della tecnica del pomodoro, ma vediamo insieme come funziona e quali sono i passaggi per far si che questa funzioni e aiuti a gestire al meglio il tempo da dedicare al lavoro… e soprattutto alle pause!

Ti servirà solo un timer e un block notes!

Il timer avrà il compito di suddividere il tempo tra lavoro e pausa, il block notes servirà per riportare le attività della giornata in ordine di priorità.

5 semplici passaggi:

  1. Seleziona l’attività da svolgere secondo le priorità decise (stima il tempo di durata massimo trascrivendolo sul taccuino)
  2. Imposta il tuo timer a 25 minuti (evitando sia quello del telefono).
  3. Comincia a lavorare sull’attività scelta.
  4. Quando suona il timer inserisci una spunta sul block notes e concediti la pausa di circa 5 minuti.
  5. Dopo quattro blocchi da 25 minuti ciascuno si potrà effettuare una pausa più lunga (tra i 15 e i 20 minuti prima di ritornare al punto 1).

Regola fondamentale della pausa è evitare qualunque attività che richieda un qualsiasi sforzo mentale. Evitare anche di utilizzare la pausa per connettersi al cellulare. Piuttosto è consigliabile ascoltare musica, fare due passi, cambiare ambiente, fare stretching.

Hai solo l’imbarazzo della scelta sulle attività da poter fare, concedi alla tua mente di prendersi una pausa!

Se pensi di aver bisogno di un aiuto professionale, puoi rivolgerti a un professionista del One Session Center.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram

Riferimenti bibliografici

Bennett, A. A., Gabriel, A. S., & Calderwood, C. (2020). Examining the interplay of micro-break durations and activities for employee recovery: A mixed-methods investigation. Journal of Occupational Health Psychology.

Fritz, C., et al. (2013). Embracing Work Breaks: Recovering From Work Stress. Organizational Dynamics.

Cirillo, F. (2019). La tecnica del pomodoro: Il celebre metodo per gestire al meglio il proprio tempo e diventare più efficienti e organizzati. Tre60.

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Affrontare il fallimento

Cos’è il fallimento?

Il fallimento è un colpo allo stomaco, una profonda tristezza e anche una grande rabbia. Esso arriva strisciando oppure prende all’improvviso, in ogni caso lascia senza fiato.

Fallire non è un errore: un errore è un inciampo in un passo di danza, uno sbaffo su un quadro ancora imperfetto. Un errore è qualcosa che nella nostra mente può essere corretto. Un fallimento no.

Un fallimento è una macchia indelebile sul tessuto bianco del nostro abito. Rovina certe volte per sempre l’immagine di noi, di ciò che siamo, di ciò che vorremmo essere, di come vorremmo apparire nel mondo.

E allora, come si affronta il fallimento?

  • Una delle tentate soluzioni che istintivamente viene messa in campo è quella di sfogarsi o confidarsi con persone care o con amici per condividere il peso, ma anche per capire meglio che cosa è successo e come si è fatto ad arrivare a quella situazione.
  • Un’altra tentata soluzione è quella di far finta di niente, come se nulla ci possa scalfire o colpirci.
  • Ancora, un’altra tentata soluzione è quella di chiudersi in sé stessi e continuare a rimuginare costantemente sul perché questo è avvenuto, ripercorrendo infinite volte con la mente i fatti accaduti, le nostre azioni, le nostre parole, quello che è stato detto o fatto, andando alla spasmodica ricerca di quegli input che potrebbero cambiare la nostra visione delle cose.

Nulla di tutto questo funziona davvero perché anche se ci sembra all’inizio stare meglio, c’è sempre quella ondata di tristezza che ci coglie all’improvviso nostro malgrado in un momento qualsiasi della giornata. Magari nemmeno ci stavamo pensando oppure ci sveglia nel cuore della notte e ci fa precipitare di nuovo in un abisso di disperazione.

Qual è dunque la ragione del fallimento? Come si affronta? E a cosa ci serve?

Alain Rohet afferma che “accettare il fallimento è un’attitudine da vincenti”. Questo aforisma mi ha sempre lasciato perplessa e non l’ho capito fino in fondo se non recentemente.

Dopo aver affrontato diversi fallimenti importanti posso dire con cognizione di causa che non ci si abitua mai a questa terribile sensazione, ma si impara a utilizzare meglio tutte le proprie risorse e capacità per uscirne in tempi veramente brevi.

So-stare nel momento: sentire le emozioni, accettando tutto quel groviglio di emozioni e stati mentali che contraddistingue il momento.

Non si può pretendere di essere completamente indifferenti. Al contrario, in questo stato di scombussolamento, bisogna dare tempo e spazio al corpo e alla mente per assorbire ciò che stiamo provando, guardando a noi stessi con gentilezza e amore. Sospendere il giudizio e cavalcare l’onda anziché contrastarla.

Riposare per poter lasciare andare.

Pensare: nel giro di poco tempo la nostra mente recupererà il controllo e inizierà a pensare alle alternative, alle soluzioni, alle possibilità.

Esiste un ideogramma giapponese che a mio parere identifica molto bene la definizione di crisi. Si compone di due ideogrammi: pericolo e opportunità.

Quando affrontiamo un fallimento la nostra prima attenzione è tutta concentrata nel pericolo che stiamo correndo e le emozioni che proviamo nella mente e nel corpo ne sono l’espressione concreta.

Tuttavia, la parte potente della situazione si nasconde nel secondo ideogramma: opportunità. Poiché il terremoto della crisi rompe l’equilibrio, l’opportunità che ne nasce è quella di imparare identificando i punti di svolta che hanno determinato la situazione, accettando la responsabilità delle azioni compiute anche se sembra che non ci siano.

Ricordare: nel nostro passato abbiamo già affrontato e “vissuto” successi o fallimenti.

E siamo sopravvissuti ad entrambi. Se recuperiamo alla memoria questi importanti ricordi, ci rendiamo conto quali risorse, capacità, abilità e comportamenti ci hanno permesso di raggiungere quel risultato e trasformare il pericolo in opportunità.

Dopo questi 3 passaggi siamo pronti per cominciare a costruire o ricostruire passo passo il nostro futuro.

Nei percorsi di terapia breve si lavora su ogni singola fase per accompagnare e facilitare il percorso evolutivo necessario.

Diceva Churchill che il successo non è definitivo. Il fallimento non è mai fatale. E’ il coraggio di continuare che conta

Vi auguro coraggio. Tanto coraggio.

Se senti il bisogno di un aiuto professionale, chiedi  a ONE SESSION.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione. Prenota una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

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Riferimenti bibliografici

Bibliografia

http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/adult-health/in-depth/denial/art-20047926?pg=2  http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/stress-management/in-depth/stress-relief/art-20044456?pg=2  http://www.pbs.org/thisemotionallife/topic/humor/humor-and-resilience http://www.cognitivetherapyguide.org/negative-thinking-patterns.htm https://www.psychologytoday.com/blog/shyness-is-nice/201305/stop-fighting-your-negative-thoughts http://www.cognitivetherapyguide.org/thought-records.htm http://psychcentral.com/blog/archives/2014/02/16/8-tips-to-help-stop-ruminating/  http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/stress-management/in-depth/stress-management/art-20044502?pg=1

http://www.nytimes.com/2014/10/26/opinion/sunday/the-problem-with-positive-thinking.html  

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La sindrome dell’impostore

Quando parliamo di sindrome dell’impostore a cosa ci riferiamo?

Il termine sindrome ci riporta come significato a un contenuto di classificazione nosografica. Va subito chiarito che la sindrome dell’impostore non è una malattia con una connotazione psichiatrica.

Il termine impostore richiama un concetto legato all’imbroglio, alla frode, all’inganno.

La sindrome dell’impostore è definibile come una serie di sensazioni e di pensieri che l’individuo vive, perché pensa che il successo raggiunto in diversi ambiti non è meritato.

Si tratta quindi di uno spiacevole vissuto che interferisce con il benessere complessivo sotto molti punti di vista.

Alla fine degli anni ’70 sono stati condotti i primi studi di questo fenomeno. Si è osservato come esso sia di natura trasversale e non riguarda specificatamente donne o uomini, coinvolge allo stesso tempo persone con diversi livelli sociali o con competenze diversificate a livello professionale.

Sembrerebbe comunque che siano più le donne a soffrirne, per quanto gli uomini non siano esenti dallo sperimentarla.

Oggi, le ricerche sembrano dimostrare che la sindrome dell’impostore sta aumentando e che, se non viene affrontata, rischia di cronicizzarsi.

Studi sulla sindrome dell’impostore.

Le psicologhe pionieristiche Clance e Imes iniziarono a parlare di tale sindrome nelle loro ricerche  a partire dal ’78.

Durante uno dei loro studi selezionarono un campione di donne che presentavano un alto livello intellettuale e culturale e che si era distinto per risultati accademici e per carriere professionali eccellenti, emerse una grande differenza nel campione.

Le donne con la sindrome dell’impostore, rispetto alle altre, a parità di titoli e posizioni raggiunte, credevano di non avere i numeri giusti per il successo e di non essere brillanti, ma che il loro successo fosse frutto di un inganno. Secondo loro, in buona sostanza, avevano  ingannato tutti gli altri che invece riconoscevano in loro le assolute competenze, le capacità ed i brillanti risultati.

Nonostante il funzionamento intellettuale  delle donne portatrici della sindrome fosse superiore e inconfutabile nelle dimostrazioni,  questa evidenza non veniva  considerata, e permaneva in loro stesse questa credenza.

In altri studi con un campione invece di studenti di diversi atenei Clance e Imes evidenziarono che molti studenti universitari sentivano di aver raggiunto posti prestigiosi senza meritarlo.

Anche questo, come nel primo caso delle donne di successo, veniva percepito da parte loro come un inganno, una vera frode che le persone sentivano di aver compiuto nei confronti della società. I premi, i riconoscimenti ed anche i semplici complimenti venivano giudicati come non meritati e non dovuti.

Come abbiamo già detto in apertura, questo fenomeno non è inserito nel DSM 5 o in qualche trattato diagnostico, ma dati alla mano e scorrendo la letteratura al riguardo, si evidenzia che il 70 % dell’intera popolazione mondiale ha sofferto, soffre nell’arco della vita di almeno un episodio di questa sindrome.

Perché la sindrome dell’impostore è un fenomeno che ha ripercussioni psicologiche?

La sindrome dell’impostore può portare un notevole disagio psicologico. Essa si riflette fortemente nella percezione che le persone hanno di loro stesse e si lega a due aree molto significative della vita: quelle legate alla posizione occupata nella società rispetto agli altri e alla dimensione  lavorativa. Chi soffre della sindrome dell’impostore prova senso di colpa e senso di inefficienza, va in stress più facilmente e rischia anche di entrare in burnout.

In cosa consiste la sindrome dell’impostore?

Chi ne soffre sviluppa una grande paura di fallire e un rimuginare su errori fatti in passato, una sensazione di incompetenza riguardo le proprie capacità.

Chi soffre di questo fenomeno è portato a pensare che il successo che si riscuote a livello personale non è meritato e sarebbe da attribuire al caso, alla fortuna, a condizioni favorevoli esterne e mai interne.

Si ha successo e si pensa sia non dovuto, non giustificabile, è questo lo stato d’animo prevalente. Nulla diventa proporzionale alla quantità di successo che si ha, perché se si soffre di questa sindrome, si vive in una condizione in cui ciò che abbiamo raggiunto non deriva da nostri mezzi, da nostre capacità, da un nostro sforzo ma sempre da qualcosa fuori.

Non ne sono immuni personaggi famosi, tanto per citarne uno su tutti lo stesso Einstein, che è stato vittima di questa sindrome, così emergerebbe da alcune confidenze fatte a un amico. Oltre a Einstein, per arrivare ai nostri giorni e a nomi molto familiari ne hanno parlato Michelle Obama, Serena Williams, Meryl Streep. La sindrome dell’impostore oltrepassa le differenze di genere e colpisce  persone importanti e non, nomi altisonanti e persone comuni.

Cosa si può leggere nella sindrome dell’impostore? A cosa porta questa sindrome?

Essa è legata alla percezione che si ha di sé, è legata alla sfera della autostima, se il livello di autostima è basso si minimizzerà il risultato.

Siccome la sindrome fa sentire costantemente gli individui in uno stato di tensione, perché percepiscono la possibilità che saranno prima o poi smascherati e che saranno scoperti, porta a dei veri e propri vissuti di ansia, che in alcuni casi più estremi sfocia in vissuti di angoscia.

Possono in alcuni casi svilupparsi un profondo senso di fallimento e una costante ricerca di perfezionismo.

L ‘ansia si può ancorare al fatto che chi soffre della sindrome diventa autocritico al massimo. Si ricerca costantemente il raggiungimento della perfezione, andando incontro a costanti rimuginii del pensiero, in un continuum che si spinge verso forme più invalidanti tanto è che si potrebbe approdare a un vero e proprio stato depressivo.

La ricerca della perfezione a tutti i costi è una delle implicazioni più pesanti che si porta dietro la sindrome dell’impostore. Un’altra è la sensazione di perpetuare un inganno ai danni degli altri, un inganno che prima o poi sarà smascherato.

Come aiutare chi soffre di questa sindrome?

Un percorso di terapia breve può permetterci di lavorare in modo efficace ed efficiente.

Attraverso la terapia si punterà alle risorse del paziente e si andranno a ristrutturare le credenze e a ricostruire la percezione di autostima errata, attribuendo il giusto valore alle mete raggiunte, ai risultati ottenuti.

L’autostima non è una caratteristica intrinseca che si possiede, ma un processo a cui si dovrebbe arrivare facendo una valutazione realistica delle proprie capacità.

La Terapia a Seduta Singola per la sindrome dell’impostore

La Terapia a Seduta Singola potrebbe essere preziosa e permetterci di arrivare all’obiettivo già con una sola seduta. In un colloquio si può lavorare sulla riappropriazione di una concezione positiva, che si riverbererà sul senso di autoefficacia individuale.

Con la Terapia a Seduta Singola potremmo far emergere quelli che sono i contenuti di critica interna. Si andranno poi ad esplorare le credenze e confutarle se esse allontanano la persona da una visione obiettiva di se stessa.

Si sottolineano i punti di forza e una rappresentazione di sé più consapevole. L’emergere della consapevolezza crea la base per uscire dalla sindrome.

Lavorare sulla autostima e sulla autoefficacia sgancia il soggetto da una visione aprioristicamente svuotata dal senso di merito ed incentrata invece sul senso di colpa.

Una strategia pratica e che può essere ripetuta quotidianamente e consigliata a chi si trova a vivere con questa sindrome, è quella di far elencare tutte le mete e tutti i traguardi raggiunti dalla persona. Assieme al terapeuta si possono riscrivere i passi conseguiti nella propria carriera, una sorta di carrellata dei successi più significativi.

Mettere in forma scritta gli obiettivi centrati, e visualizzarli in modo concreto, renderà difficile la negazione e darà una consistenza a ciò che si è conseguito. Questo permetterà alla persona di raggiungere la convinzione che essa ha meritato il posto il lavoro o la posizione che sta ricoprendo.

Ti trovi in un momento difficilin cui hai la sensazione di essere imprigionato? 

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Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione. Prenota una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram

 

Riferimenti bibliografici

Clance P. R., & Imes, S. A. (1978). The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychotherapy: Theory, Research & Practise

Clance Pauline R.; O’ Toole, Maureen A., 1987. The Imposter Phenomenon: An internal barrier to empowerment and achievement

Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli, 2020. Terapia a seduta singola Principi e Pratiche

Sandi Mann, 2021. La sindrome dell’impostore. Perché pensi che gli altri ti sopravvalutino.

Enrico Maria Secci, 2016. Le Tattiche del Cambiamento– Manuale di Psicoterapia Strategica

Francesca Di Donato, 2021. Counseling Psicologico

Flavio Cannistrà- Federico Piccirilli,2021. Terapia breve centrata sulla soluzione. Principi e Pratiche

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2 anni ago Umore

Sensazione di vuoto: il languishing

Negli ultimi mesi molte persone stanno sperimentando una particolare sensazione di vuoto che può essere efficacemente descritta con il termine languishing.

Sembra infatti che, nonostante i vaccini e i passi che stiamo facendo per tornare alla normalità, in gran parte della popolazione rimanga una sorta di apatia.

Non è un vero e proprio stato di malessere, ma piuttosto una mancanza di benessere.

Nonostante il termine languishing sia stato usato frequentemente negli ultimi tempi legandolo alla problematica del COVID, non si tratta di una condizione nuova.

Che cosa si intende per languishing: la sensazione di vuoto

Il languishing e il suo opposto, il flourishing, sono i 2 poli della teoria del benessere di Keyes.

Il languishing rappresenta il polo negativo, uno stato di disordine, che genera una sensazione di vuoto, di apatia e di scarsa motivazione, una condizione di assenza di benessere ed emozioni positive.

All’opposto troviamo il flourishing che sarebbe il funzionamento ottimale, uno stato in cui sentiamo di avere una vita piena, ricca e felice.

Ovviamente è importante capire che trattandosi degli estremi di un continuum potremmo anche trovarci in una situazione intermedia.

Il languishing è un problema?

L’assenza di emozioni positive e questa sensazione di vuoto, per un breve periodo, sono quasi fisiologiche e facilmente comprensibili, considerato che stiamo attraversando una pandemia.

Tuttavia Keyes sottolinea che, secondo i dati, il rischio di un episodio depressivo è quasi sei volte maggiore nelle persone che sperimentano lo stato di languishing.

Perciò potrebbe essere utile chiedere un supporto psicologico, soprattutto se sperimenti questa situazione vuoto e di assenza di emozioni positive da diverso tempo.

Sensazione di vuoto e terapia a seduta singola

La terapia a seduta singola può rivelarsi estremamente utile per risolvere questa condizione in tempi brevi.

Persino una singola seduta può essere sufficiente per aiutarti a individuare delle strategie per affrontare e risolvere il problema.

Infatti la terapia a seduta singola focalizzandosi direttamente sul problema permette fin da subito di individuare l’obiettivo e di iniziare a lavorare su di esso.

Il modello PERMA

In molti casi chiedere un supporto psicologico è la scelta migliore, ma cerchiamo di capire fin da subito su che cosa possiamo lavorare per spostarci dallo stato di languishing verso quello di flourishing.

Innanzitutto possiamo cercare di lavorare sul nostro benessere psicologico e sui vari aspetti che lo caratterizzano.

Una definizione del benessere molto pratica e interessante, ampiamente riconosciuta in psicologia è il modello PERMA di Martin Seligman.

“PERMA” è un acronimo che sta per:

  • P – Emozioni positive (Positive emotion): sperimentare emozioni positive è fondamentale per il benessere. Sia le emozioni positive che negative vanno gestite con efficacia.
  • E – Coinvolgimento (Engagement): Essere coinvolti in attività che ci assorbano completamente, in cui perdiamo la cognizione, sperimentando il cosiddetto flow sono estremamente importanti per il benessere.
  • R – Relazioni (positive) (Relationship): siamo animali sociali, le relazioni positive sono uno dei fattori più importanti per il nostro benessere.
  • M – Significato (Meaning): dedicarsi a una causa che abbia un significato più grande di noi, che abbia implicazioni anche collettive..
  • A – Realizzazione (Achievement): pianificare, perseguire e raggiungere obiettivi migliora autostima, resilienza, ottimismo e più in generale il nostro benessere.

Questo modello è basato sulle evidenze di ricerche scientifiche sul benessere, ognuno di questi 5 aspetti influisce sul senso generale di benessere.

Come abbiamo detto il languishing è caratterizzato da una sensazione di vuoto e di assenza di emozioni positive. Le emozioni positive sono uno dei cardini centrali del modello, ma concentrarsi solo su di esse potrebbe non essere sufficiente per sviluppare un senso globale di benessere.

Dovremmo lavorare su tutte le componenti del modello per costruire una vita piena e significativa.

Dal languishing al flourishing

Quindi in breve cosa possiamo portarci a casa dal modello PERMA?

Che da ciò che emerge dalle ricerche possiamo migliorare il nostro benessere e passare dal languishing al flourishing lavorando su:

  • Sperimentare un maggior numero di emozioni positive: aggiungi attività piacevoli alla tua routine quotidiana che ti facciano sperimentare emozioni positive.
  • Aumentare l’impegno e il coinvolgimento: trova degli hobby che ti coinvolgano davvero e ti permettano di sviluppare abilità ed esprimere le tue passioni.
  • Migliorare la gestione dei rapporti: impara a costruire relazioni supportive basate sulla fiducia reciproca e sull’affetto, con amici, parenti e famigliari.
  • Impegnarsi in attività abbiamo una causa comunitaria tramite il lavoro, hobby o attività di volontariato aiuta a migliorare il benessere e a colmare la sensazione di vuoto. – Pianifica con efficacia obiettivi che abbiano un valore per te, a breve e a lungo termine, mantieni l’equilibrio tra realizzazione e gli altri aspetti importanti della vita per il tuo benessere.

In conclusione questi sono alcuni consigli che spero possano esserti utili, nel caso non fossero sufficienti o ritenessi di avere bisogno di un supporto in più ricorda che la terapia a seduta singola può rivelarsi molto efficace in queste situazioni.

In alternativa puoi usufruire del nostro centro di ascolto psicologico One Session Center che offre una consulenza gratuita di 30 minuti ogni martedì dalle 18 alle 20 con uno dei nostri professionisti specializzati nella Terapia a Seduta Singola. Contattaci alla pagina Facebook OneSession.it.

Riferimenti bibliografici:

Keyes, C. L. M. (2002). The Mental Health Continuum: From Languishing to Flourishing in Life. Journal of Health and Social Behavior, 43(2), 207–222.

Keyes, C. L. M. (2005). Mental Illness and/or Mental Health? Investigating Axioms of the Complete State Model of Health. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 73(3), 539–548

Seligman M. (2017). Fai fiorire la tua vita. Una nuova, rivoluzionaria visione della felicità e del benessere. Anteprima Edizioni.

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Coppia e primo figlio: quando l’amore (si) trasforma

La nascita del primo figlio costituisce un punto di non ritorno nella traiettoria esistenziale sia delle persone che della coppia stessa.

L’identità delle persone viene arricchita dal ruolo genitoriale ed anche la coppia cambia, assumendo connotazioni di famiglia macroscopicamente più rilevanti.

Il passaggio da due a tre può essere tra i più desiderati da entrambi i componenti della coppia, ma costituisce una transizione impegnativa che richiede un alto livello di investimento, un giro di boa che scopre alle persone e alla coppia stessa scenari che saranno definitivamente differenti da tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento.

 “Un figlio è una granata”

Così affermava Nora Ephron, la regina della commedia romantica, nella sceneggiatura del film Heartburn.

E continuava “Questa è la verità che nessuno ti dice.

Quando hai un figlio, inneschi un’esplosione nel tuo matrimonio.

Quando finalmente la polvere si placa, la tua coppia non è più quella di prima.

Non peggiore, necessariamente.

Non migliore, necessariamente. Ma diversa, per sempre”.

Come il passaggio al cinema, dal bianco e nero al colore, o in musica, dal canto gregoriano alla polifonia, l’arrivo del primo figlio è una svolta epocale per la relazione di coppia che deve modificare i precedenti equilibri. L’armonia originale deve essere ripristina adeguandola alle nuove dimensioni di accudimento e cura.

Lo psicologo americano Jay Belsky già nel 1984 rilevò come le tre dimensioni portanti della relazione di coppia venissero trasformate in maniera sostanziale dall’arrivo del primo figlio.

Negli anni seguenti ha continuato a documentare con ricerche longitudinali che hanno seguito le coppie poi divenute famiglie, come la qualità percepita del rapporto di coppia fosse notevolmente influenzata dall’evento “diventare genitori”.

L’arrivo di un figlio amplifica le dimensioni di solidarietà e comune impegno a scapito della dimensione romantico-erotica e di quella amicale che subiscono un brusco ridimensionamento. E che potrebbe risultare fatale.

Ma l’amore?

Potrebbe venire a crearsi così il paradosso che il frutto dell’amore, quel figlio desiderato e accolto con tanto entusiasmo e disponibilità dalla coppia, si ritrovi a crescere senza più la linfa vitale dell’albero che lo ha generato.

Perché magari i neo genitori, sopraffatti dalle nottate insonni, i budget ridimensionati, le nuove responsabilità, sperimentano un’insoddisfazione crescente e potenzialmente usurante del rapporto di coppia.

Per evitare questo inaridimento e contribuire ad una equilibrata ridistribuzione delle energie, possono essere messe in atto alcune semplici strategie per custodire ed avere cura del rapporto di cui il figlio generato è espressione carnale.

(Continuate a) Fare l’amore non la guerra

La prima attenzione deve essere portata alla componente romantico-erotica.

All’inizio della fase di “transizione a genitori”, spesso si registra una specie di asfissia erotica: tutte le attenzioni sono concentrate verso l’accudimento e  non si trovano più il tempo ed le energie per i rapporti.

Quello che si può fare è ripristinare già da subito un confine spazio temporale per la coppia: individuare un momento quotidiano o almeno settimanale in cui ci si possa ritrovare senza avere l’incombenza dell’accudimento del figlio ma  si possano curare l’intimità e la confidenza reciproca.

Per riuscire occorrerà attivare una serie di risorse di rete quali eventuali nonni, amici, persone di fiducia  che sono essenziali alla coppia per poter continuare ad individuarsi come tale.

Il secondo aspetto da curare è la dimensione dell’amicalità.

I due partner devono continuare a poter esercitare quella curiosità benevolente, quell’interessamento particolare che avevano portato alla formazione della coppia stessa quando ci si era scelti e preferiti.

Guardarsi negli occhi e chiedersi con sincerità almeno una volta al giorno “Come stai?” aspettando il tempo della risposta dell’altro  è una strategia necessaria perché la familiarità di coppia non venga meno ma si possa approfondire ed arricchire di tutte le nuove esperienze in corso.

Tante più energie si riuscirà a convogliare in queste direzioni, tanto maggiore sarà la possibilità che l’asse della coppia non si sbilanci eccessivamente sulle dimensioni genitoriali e rimanga invece ben equilibrato sulla caratura di intima reciprocità che le è propria.

In conclusione…

Passare da coppia a famiglia è una fase impegnativa della vita.

Se desideri un confronto con uno psicologo che possa fornirti indicazioni più mirate alla tua situazione, sulla pagina Facebook di OneSession puoi trovare ogni martedì psicologi qualificati in Terapia a Seduta Singola per un servizio di Consulenze online gratuite.

Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo o individuare bacini di risorse che sembravano non esistere.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Belsky J., (1984). The Determinant of Parenting: A process Model, in “Child Development, 55, pp.83-96.

 

 

 

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Ansia da esami? Ecco gli errori tipici che probabilmente compi!

È maggio, l’estate si sta avvicinando, si comincia a respirare aria di vacanza.

Ma c’è una categoria di persone che vive questo mese con ansia e tensione.

Parliamo degli studenti che a breve dovranno affrontare la sessione estiva, o l’esame di maturità.

Questi vedono il tempo scorrere velocemente mentre sono ancora sommersi di argomenti da ripassare o iniziare a studiare.

Nell’articolo di oggi andremo ad analizzare alcuni degli errori più comuni che uno studente in ansia per gli esami commette, e forniremo delle indicazioni per affrontare questo periodo al meglio.

Intrappolarsi nel perfezionismo

L’ansia per gli esami può essere accompagnata, ed esacerbata, dall’esigenza di dover studiare tutto perfettamente.

Se dedizione ed impegno sono caratteristiche auspicabili in uno studente, portate all’estremo diventano fonte di problemi.

Il tempo dedicato all’organizzazione, programmazione ed esecuzione dei compiti impegna lo studente perfezionista per la maggior parte del tempo.

Egli finirà per intrappolarsi in questa ragnatela del perfezionismo sempre più fitta. Ci sarà sempre, infatti, un compito successivo per cui doversi preparare al meglio.

L’esito sarà quello di una costante ansia, che porterà a mano a mano alla rinuncia di attività ricreative e ludiche.

Questo tipo di ansia potrà arrivare ad esprimersi anche con attacchi di panico, crisi di pianto e somatizzazioni.

Come affrontare l’ansia da perfezionismo?

Allenati a sbagliare! Inserisci nella tua routine quotidiana un momento in cui, volontariamente, inserire degli errori in quello che stai studiando. Così facendo imparerai a regolare le tue reazioni di fronte agli sbagli e acquisirai un controllo maggiore su eventuali errori che ti capiterà di commettere in futuro.

Evitare (e confermare di essere impreparati)

Che si sia spinti dal perfezionismo o dall’ansia per l’eventualità di fare brutta figura e bloccarsi durante l’esame, il “salto dell’appello” è uno sport frequentemente praticato dagli studenti universitari.

L’idea che tanto ci possa essere un’ulteriore possibilità tranquillizza apparentemente gli studenti che potranno così placare la propria ansia e paura di essere impreparati, convincendosi che arriveranno all’appello successivo con maggiore sicurezza.

Ma funziona?

Niente affatto.

L’evitamento è una dei tentativi di liberarsi dell’ansia più messi in atto in assoluto. I suoi effetti sono però controproducenti.

Più evitiamo, infatti, e più ci stiamo confermando di non essere in grado di affrontare la situazione che ci crea ansia. Questo farà sì che all’appello successivo non ci sentiremo affatto più pronti.

Che fare quindi?

Evita di evitare!

Anche se non ti senti sufficientemente pronto per l’appello imminente, mettiti alla prova. Piuttosto, rifiuta il voto. Non vedere il brutto voto come un fallimento, ma come l’occasione di imparare dove e cosa puoi migliorare.

Se invece eviti per paura di bloccarti, arrossire, balbettare, quello che puoi fare è “dichiarare il tuo perturbante segreto”.

Cosa significa?

Se sei una persona che, in situazioni di ansia, tende ad arrossire o balbettare quando interrogata, fallo presente al tuo esaminatore! Negare le proprie fragilità le rende ingestibili, mentre dichiararle farà in modo di annullare i loro effetti negativi.

Parlare sempre e solo della tua ansia

Se stai cercando di placare la tua ansia da esami sfogandoti costantemente con chi ti circonda, sappi che ti stai dando la zappa sui piedi da solo!

Sfogarsi fa sentire la persona in ansia apparentemente svuotata dalla tensione. In realtà, prova a farci caso, l’effetto è opposto.

Lo sfogo funziona con l’ansia come un fertilizzante per una pianta infestante: la fa crescere e prendere più spazio di quanto meriterebbe!

Se ti sei reso conto che effettivamente ami parlare di quanto sei in ansia, ecco l’indicazione giusta per te: la congiura del silenzio.

D’ora in poi parla di qualsiasi argomento con chiunque tu voglia, tranne che della tua ansia per gli esami!

Buttando la tua ansia fuori di te stai delegando agli altri la gestione della stessa. È invece di imparare a gestirla, e non a subirla.

Se ritieni di avere bisogno di un aiuto in più, prendi in considerazione l’idea di chiedere aiuto ad un professionista!

Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.

Riferimenti bibliografici

Alessandro Bartoletti (2013). Lo studente strategico. Come risolvere rapidamente i problemi di studio. Firenze: Ponte delle Grazie.

 

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Come migliorare il rapporto con il tuo capo

Perché è importante avere relazioni serene nell’ambiente di lavoro?

Riuscire ad instaurare un rapporto soddisfacente con il proprio capo, e con i colleghi, è il desiderio di tantissime persone. Sul luogo di lavoro, infatti, è indispensabile poter contare su un ambiente tranquillo in cui poter lavorare con serenità. E’ ormai da diversi anni noto che, quando le persone si sentono tranquille e senza troppe pressioni addosso, il rendimento lavorativo e la soddisfazione personale aumentano!

Viceversa, un rapporto altalenante o scadente con il proprio superiore, può spesso essere collegato ad una soddisfazione minore verso il proprio lavoro, che può andare a ripercuotersi negativamente anche su altri ambiti di vita.

Qualche dritta per migliorare la situazione

Ottenere una relazione distesa con il capo può non essere un processo immediato, ma ecco qualche suggerimento per riuscire al meglio nella costruzione di rapporto nuovo e più sereno:

1. Sii proattivo

Se pensi di avere la soluzione per un problema, esponila! I suggerimenti, se dati con educazione e rispetto, faranno capire al tuo capo quanto tu sia dedito al lavoro e competente.

2. Presta attenzione alle scadenze

Anche se può essere difficile, soprattutto quando si è sommersi di lavoro, è molto importante rispettare le scadenze, perché sarà una prova formidabile della tua affidabilità.

3. Chiedi feedback

Quando te ne capita l’occasione, chiedere al capo dei feedback sul lavoro svolto ti farà apparire come una persona desiderosa di migliorarsi e fare bene il proprio lavoro. Non avere paura di eventuali riscontri negativi, se dovessero esserci saranno uno spunto per migliorare le tue prestazioni!

4. Ricorda che, oltre ad essere il tuo superiore, è una persona

Come tutti, anche il tuo capo avrà una vita fuori dall’ambiente lavorativo. Cercare di conoscerlo, mostrandoti autentico e rispettoso, potrebbe migliorare notevolmente il vostro rapporto!

 Presta attenzione alla comunicazione

Un ultimo suggerimento per rendere il rapporto con il capo più sereno è quello di prestare molta attenzione alla comunicazione.

Il nostro modo di comunicare con gli altri è davvero importante, perché può influenzare direttamente la relazione con la persona che abbiamo davanti.

Quando si tratta di un superiore, è fondamentale adattarsi al suo stile comunicativo e al suo registro linguistico.

Cerca di mantenere questo stile anche nella comunicazione via e-mail, soprattutto se usate spesso questo strumento.

Inoltre, se possibile, cerca di prediligere gli scambi dal vivo a quelli telefonici o via e-mail, perché questi danno una possibilità maggiore di comprendersi e approfondire l’argomento di conversazione.

Riuscire a costruire un rapporto sereno con il proprio capo è possibile, anche se può richiedere qualche sforzo.

Tuttavia, l’impegno iniziale sarà ricompensato da un ambiente lavorativo più disteso, nel quale fare emergere le proprie competenze professionali.

E se credi di avere bisogno di un po’ di aiuto, la soluzione potrebbe essere chiedere aiuto ad un professionista, che ti aiuterà con un incontro di Terapia a Seduta Singola a trovare le risorse e comprendere come usarle per affrontare il problema.

Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.

Prenota la tua consulenza gratuita.

Bibliografia

Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics

 

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Christmas Blues ovvero la Depressione Natalizia: come superarla?

Natale: che stress!

Ci siamo: il Natale è arrivato! L’atmosfera di attesa, le pubblicità in tv di panettoni e torroni, le decorazioni nelle case e per le strade, l’entusiasmo dei bambini, la letterina a Babbo Natale e l’attesa dei regali, le riunioni di famiglia…
Per molti quello natalizio è il periodo più bello dell’anno, per altri invece è una vera tortura, che si affronta a denti stretti e sperando finisca il più in fretta possibile.
Può sembrare strano, eppure, circondati da alberelli colorati e da luci sfavillanti, a molti capita di sentirsi profondamente tristi. Forse non lo sapevate ma il Christmas Blues, o depressione natalizia, è più frequente di quanto si creda.
I sintomi si avvicinano molto a quelli della depressione comune: chi soffre del Christmas Blues prova profonda malinconia, insonnia, crisi di pianto, irritabilità, forte ansia.
I cambiamenti stagionali, legati alla diminuzione delle ore di luce e al maltempo, possono ulteriormente incidere sullo stato di tristezza, influenzando l’umore, il ritmo sonno-veglia, la sessualità, la memoria e altri ambiti associati al nostro benessere.

Happy days. Ma anche no.

Il periodo natalizio rappresenta a tutti gli effetti un vero tour de force di convenzioni sociali e di festeggiamenti a cui tutti ci sentiamo in qualche modo obbligati a partecipare.
Non vediamo l’ora che arrivino le vacanze per riposare, dormire senza il fastidioso suono della sveglia, invece ci ritroviamo l’agenda serrata da impegni, dalla preparazione di pranzi e di cene, dalla corsa agli ultimi regali.
Sovente si arriva a dicembre stanchissimi, con il peso di dodici mesi di intenso lavoro sulle spalle, reso ancora più pesante dal rush finale pre-natalizio.
Il malumore può acutizzarsi dal pensiero di rivedere i propri familiari, con alcuni dei quali magari non ci sentiamo del tutto a nostro agio o con cui vi sono attriti preesistenti.
A ciò si aggiungono le liste di regali da individuare e da acquistare (ed eventuali difficoltà economiche), l’abituale inclinazione a “tirare le somme” dell’anno appena trascorso (con conseguente senso di insoddisfazione e di irrequietezza laddove il bilancio non sia in linea con gli obiettivi prefissati).
In questo indimenticabile 2020, si aggiungono quella serie di limitazioni imposte dalle normative vigenti legate alla pandemia, con l’impossibilità durante il periodo festivo di spostarsi da una regione all’altra e tra comuni, la chiusura di locali e centri commerciali in determinate fasce orarie e giorni, nonché il divieto di organizzare riunioni con persone non conviventi, e di fare pranzi e cene con una cerchia di familiari estremamente limitata.
Tale condizione può acutizzare il senso di solitudine e di tristezza, ancor di più in coloro che stanno affrontando il dolore recente di una perdita subita, la morte di una persona cara, una separazione, un problema di salute, oppure stanno attraversando un momento di cambiamento, un trasferimento, un pensionamento, la perdita del lavoro.

5 consigli per superare le feste in leggerezza

Quando si avvicina il periodo natalizio possono arrivare, oltre ad auguri, catene di messaggini WhatsApp, regali inaspettati, anche alcune pericolose e deleterie trappole mentali.
Vediamo quali sono: identificarle è già un primo importante passo!
• Pensare che durante le festività dobbiamo essere per forza felici, allegri e spumeggianti;
• Ripensare ad eventi negativi, fare il bilancio di tutto ciò che non si è realizzato durante l’anno;
• Pensare di essere gli unici a sentirsi infelici e oppressi da obblighi e convenzioni sociali;
• Pensare che questo sentimento di tristezza sia definitivo e non fronteggiabile.
Niente paura: a tutto c’è un rimedio, se sai come porvi rimedio!

Di seguito alcuni semplici consigli:

1. Organizzati per tempo, così da non ritrovarti imbottigliato nell’estenuante “corsa ai regali” dell’ultimo minuto; fai acquisti con criterio, pianificando le spese e stabilendo in anticipo un budget, in linea con le tue possibilità economiche.
I regali non sono un obbligo. Meglio stabilire con parenti e amici che il regalo è stare insieme, piuttosto che angosciarsi per l’estratto conto a fine mese o sentirsi inadeguati.
2. Partecipa agli eventi sociali nel rispetto dei tuoi bisogni, imparando a “dire no” agli appuntamenti con persone che già sai ti provocheranno malumore; dedica il tuo tempo a chi ti fa stare bene e agli incontri per te realmente gradevoli.
3. Accogli e dai valore alle tue emozioni: il fatto che in un clima festoso ci si senta tristi o malinconici non significa essere “sbagliati” o che ci si debba sforzare per omologarsi al contesto.
4. Lascia andare i pensieri ricorrenti sul passato (e su ciò che hai perduto) o le ansie per il futuro (e di quel che potrebbe succedere); il pensiero ricorsivo non aiuta a prendere decisioni, a ridurre l’ansia e a risolvere i problemi, anzi, li aumenta.
5. Vivi il presente e dedicati a te stesso: goditi un bel libro, un brano musicale, fai una chiacchierata al telefono con un amico o una persona cara, dedicati a un hobby o fai un po’ di sport. Approfitta delle ore di luce: una passeggiata di almeno un’ora all’aria aperta, se il clima lo permette, ha grandi effetti positivi sul nostro benessere.
Se tuttavia ritieni di non riuscire a gestire da solo il tuo malessere, chiedi aiuto ad uno psicologo: ti aiuterà a trovare le strategie più efficaci per far fronte a questo particolare stato emozionale.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola inoltre, ricordati che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle ore 18 alle ore 20, gli psicologi e gli psicoterapeuti del nostro team One Session sono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Cannistrà, F., Piccirilli, F., (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche, Editore: Giunti Psychometrics;
Kasser, T., Sheldon, K. M. (2002). What Makes for a Merry Christmas?, in: Journal of Happiness Studies, vol. 3, n.4, pp. 313-329.

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