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Category Archives: Problemi nelle relazioni familiari

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Come cambia la coppia dopo l’arrivo di un figlio?

Cambiamento

La transizione, come sempre, porta con sé una crisi. Tale crisi non è necessariamente sinonimo di problema o di patologia. Ma è sinonimo di cambiamento. E il cambiamento, quasi sempre, implica possibilità e rischi.

La nascita di un figlio crea una nuova condizione psicologica. Questa, inevitabilmente, coinvolge il singolo ma anche la coppia.

Mamma e papà vivono in modo individuale l’evento e si preparano già durante la gravidanza a diventare genitori.

In questo periodo di progressivo adattamento la coppia comincia a modificarsi ma è nel momento della nascita che tutto cambia in modo “ufficiale”.

Ciò che era pensato ora diventa concreto.

L’arrivo di un figlio in ogni caso è un momento stressante, non in senso negativo ma come descrizione di un periodo di transizione che inevitabilmente crea fatiche e potenziali rischi.

Durante i primi mesi l’equilibrio fra i partner si modifica. La diade madre-bambino si innesta significativamente fra la coppia poiché il neonato richiede un forte impegno (allattamento, ritmo sonno-veglia).

La fatica sperimentata a livello fisico e psicologico può portare ad un umore negativo, tristezza e irritabilità.

Durante questa fase il rischio è che il padre avverta una distanza sempre maggiore dalla coppia e dalla compagna e dal figlio con il rischio di un isolamento familiare.

Il tempo libero che prima veniva condiviso dalla coppia si modifica per dare spazio al figlio oppure al riposo. Dunque in modo drastico vengono ridotti i momenti di piacere e svago.

Da un punto di vista organizzativo tutto cambia, i tempi del neonato non sono i tempi della coppia. Questo genera una sensazione di “perdita di controllo sulla propria vita” e dispercezione dei carichi di lavoro e impegno profuso.

Queste fatiche possono generare potenziale conflittualità all’interno della coppia e una diminuzione di dialogo e complicità.

In alcuni casi avere le famiglie di origine distanti e non poter contare su un aiuto esterno rende tutto molto più complesso e si sperimenta la solitudine.

Infine le coppie sono talvolta vittime di una società che rimanda l’idea che i neogenitori siano prestanti, reperibili al lavoro nell’immediatezza, avere un’abitazione sempre ordinata ed accogliente per ospiti.

Questa idea genera una pressione significativa che fa perdere il focus della coppia su ciò che è importante e prioritario ovvero cominciare a conoscere il “nuovo arrivato” e costruire con lui una relazione.

Fattori protettivi

Per essere più pronti come coppia prima del lieto evento bisogna avere-trovare un buon equilibrio.

È importante che i partner cerchino di adottare una visione realistica della loro futura vita a tre, Cercando di documentarsi.

E’ buona norma abbandonare una visione unicamente romantica di quella che sarà la loro vita futura prendendo in considerazioni più variabili.

E’ utile, ad esempio, riorganizzare la nuova distribuzione dei compiti, in considerazione dei nuovi impegni a cui ciascuno inevitabilmente andrà incontro.

Così, in una coppia ognuno darà il suo contributo in modo particolare sui compiti domestici. Ognuno dovrà fornire la propria collaborazione per cercare di alleviare la fatica iniziale, soprattutto nei primi anni.

E’ importantissimo lasciarsi uno spazio di dialogo affinché il confronto sia continuo anche nei momenti più duri. Il rischio è quello di sentirsi sempre più distanti, con l’inevitabile accumulo di gelosie e possibili rancori.

Strategie

  • Impegnarsi a trovare del tempo per la coppia.

La coppia dovrebbe vivere questo spazio come un appuntamento (quotidiano, settimanale ecc.) irrinunciabile da pianificare a tutti i costi.

  • Perdonarsi per le proprie paure.

Avere paura di mettere al mondo un figlio e di accudirlo è la cosa più normale del mondo. Non c’è nulla di patologico nell’avere paura, essa ci serve per mettere in campo tutte le nostre risorse per svolgere al meglio i compiti difficili. Serve per muoverci con cautela e prestare la giusta attenzione su ciò che stiamo facendo.

  • Chiedere aiuto

Quando il peso dei problemi e delle difficoltà quotidiane diventa insostenibile è bene allentare la tensione e lasciarsi aiutare. Chiedere aiuto non deve rappresentare una sorta di fallimento. In altri casi la coppia può temere di essere di peso se chiede aiuto e così facendo si priva della possibilità di scoprire che a volte genitori, amici e parenti sono ben contenti di rendersi utili.

  • Incoraggiarsi a vicenda sostenendosi nelle fatiche del quotidiano, utilizzare un linguaggio positivo e propositivo.
  • Allenare la socialità e le relazioni esterne.

 

Siete una coppia con un figlio in arrivo e avete bisogno di un aiuto in più?

Potete chiedere aiuto a One Session! Vi basta inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)

Riferimenti bibliografici

https://www.guidapsicologi.it/articoli/equilibri-di-coppia-dopo-la-nascita-di-un-figlio (consultato in data 17/11/2023)

https://www.mammasuperhero.com/il-rapporto-di-coppia-dopo-un-figlio-cosa-fare-e-cosa-evitare/ (consultato in data 17/11/2023)

https://www.parentube.it/blog/diventare-genitori/coppia-figlio/ (consultato in data 17/11/2023)

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Affrontare il discorso separazione con i figli

La separazione è un momento doloroso che coinvolge tutta la famiglia, come affrontare il discorso con i figli?

Separazione ed emozioni

I figli possono sperimentare senso di impotenza di fronte alla separazione dei genitori, che può essere alimentata da sentimenti confusi e contraddizioni con incertezza per il futuro.

Non sarà possibile avere una ricetta valida per tutti i casi perché ogni separazione è differente dall’altra e può presentare caratteristiche e variabili di criticità di grande complessità.

Ogni bambino può reagire in modo differente, anche all’interno della stessa famiglia i fratelli possono avere reazioni diverse.

Nei pensieri dei genitori la decisione di separarsi si accompagna quasi sempre con la domanda di come i figli reagiranno e di quali ripercussioni questa decisione avrà su di loro.

Può avvenire che nella fase iniziale della separazione i pensieri rispetto al futuro dei figli rimangano in secondo piano, poichè diventano prioritari gli aspetti concreti: le questioni legali e a volte anche di una ridefinizione a livello professionale.

Accade spesso che i sentimenti siano, in questa fase, distribuiti in modo disuguale tra i partner, evidenziando una differenza emotiva: per qualcuno prevarrà la rabbia, il lutto, il senso di perdita e di fragilità; per qualcun altro il senso di liberazione e la voglia di iniziare una nuova vita, con una nuova relazione.

Occorre una positiva rielaborazione dei sensi di colpa che può essere attuata attraverso l’assunzione consapevole della decisione. Ha poco significato rimuginare sul cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo e lo sguardo deve essere posto sul futuro, cercando di estrapolare il meglio da questa situazione.

Non è utile addossarsi tutta la responsabilità ma assumersi quella riguardante la decisione specifica e per le sue conseguenze, considerare quello che è meglio per tutti.

Accettare le proprie debolezze e i propri errori è utile durante l’arco di tutta la vita, è un processo di apprendimento continuo, meglio apprendere dai propri errori e cercare di fare meglio nel futuro.

Come lo dico?

All’inizio di ogni separazione i genitori dovrebbero prevedere un momento in cui parlare con i propri figli per comunicare la decisione che hanno preso. Si dovrebbe trattare di un dialogo che trasmetta amore e sicurezza.

E’ fondamentale comunicare con i propri figli la separazione, condividendo ciò che sta accadendo realmente. E’ molto importante quello che verrà comunicato insieme, quindi successivamente devono rimanere a disposizione per rispondere a domande.

La regola è che i coniugi non devono svalutarsi a vicenda, è possibile prevedere un accordo su cosa dire nei dettagli oppure provare il discorso davanti ad una persona di fiducia.

Bambini 0-3 anni: quando il bambino non sa ancora parlare dovete comunicare in modo rilassato ciò che sta avvenendo, ad esempio quando il bambino è tranquillo e state giocando con lui usando un tono di voce calmo e affettuoso.

Bambini 3-6 anni: i bambini in questa età sono nel pensiero magico, è l’età in cui stanno ancora imparando a distinguere ciò che è reale da ciò che è fantasia e questo accade indipendentemente dalla loro volontà, frutto delle loro rappresentazioni.

Spesso immaginazione e realtà si confondono.

Quanto più la cosa è forte emozionalmente più la loro tendenza è quella di aggiustare con le fantasie. A questa età molti bambini tendono a rielaborare la separazione , cercandone le ragioni mescolando in maniera irrazionale realtà e immaginazione.

Bambini dai 6 ai 12 anni: si può chiedere loro cosa sanno del divorzio e confrontarsi su idee e credenze.

L’importante è trasmettere sicurezza per il futuro ed essere sinceri.

Dai 12 anni in poi: in questa fase è maggiore la maturità a livello cognitivo e la voglia di ragionare, la comprensione dei ragionamenti è migliore. Questo non significa trascurare la componente emotiva. I ragazzi non sono obbligati a dire qualcosa, hanno il diritto di stare in silenzio se vogliono. I ragazzi hanno il diritto di essere arrabbiati , ed è preferibile questa reazione piuttosto che la rassegnazione.

Il senso di perdita o aggressività repressa possono manifestarsi successivamente in modo più o meno nascosto o aperto.

Fattori protettivi

E’ ormai assodato che la separazione e il divorzio non portano inevitabilmente a danni permanenti nei figli. Tuttavia la loro serenità e benessere, anche futuri sono connessi ad alcune condizioni, che richiedono da parte dei genitori maggiori sforzi e consapevolezza di quelli che sono necessari nelle famiglie “intatte”. Se i genitori ci mettono quest’impegno, non hanno niente da rimproverarsi per il fatto che la famiglia creata si è dissolta. I “fattori protettivi” agiscono in modo che i vostri figli diventino adulti felici e soddisfatti.

Sarà molto importante:

essere affidabili, evitare le svalutazioni reciproche, evitare di “viziare” i figli mantenendo un ruolo di educatori coerenti e responsabili.

Dopo la separazione non trattare i figli come “partner”. E’ molto importante tracciare un confine molto chiaro tra i loro interessi, da una parte, e quelli dei figli dall’altra.

Rivolgete uno sguardo al futuro con ottimismo.

Ricorrete ad un supporto professionale nel caso in cui emergano sintomi depressivi. Trasmettete ai figli una buona autostima attraverso una comunicazione positiva e rimanete una coppia genitoriale forte.

Nonostante la separazione si rimane una coppia di genitori per tutta la vita.

Se senti il bisogno di un aiuto professionale, gli psicologi di OneSession.it ti offrono la possibilità di prenotare un primo colloquio gratuito. Per prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)

Riferimenti bibliografici

Koch C. e Strecker C. (2014). Mamma e papà si separano. Trento, Erickson

Fabio R.A (2004), Genitori positivi, figli forti, Trento, Erickson

Lavigueur S., Coutu S.e Dubeau D. (2011), Sostenere la genitorialità, Trento, Erickson

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Genitori iperprotettivi: quali rischi?

I genitori iperprotettivi vogliono proteggere e prevenire qualsiasi forma di male, dolore e infelicità ai figli.

Potrebbe sembrare un nobile proposito, spinto dall’amore incondizionato per essi, ma dietro a questo si celano risvolti negativi.

Questo eccesso di premura porta infatti i genitori a soccorrere i figli dalle brutte esperienze, dai fallimenti, dal rifiuto dei pari e da qualsiasi forma di delusione. Inoltre, essendo molto attenti a ogni pericolo o rischio che può verificarsi nella vita dei figli, anticipano ogni eventuale difficoltà.

Visto da fuori, un genitore iperprotettivo non è un “cattivo” genitore, anzi i suoi modi sono accoglienti e premurosi. Cercando di rendere la vita più facile al figlio, interviene al primo ostacolo eliminando ogni problema che esso incontra lungo il percorso di crescita. Questo può portare anche a sostituirsi al figlio o addirittura a fare le cose più sgradevoli al posto suo.

Dietro alle cure eccessive del genitore iperprotettivo si nasconde la convinzione che il figlio non possa farcela da solo. Il genitore percepisce come vulnerabile il bambino/ragazzo e finisce per trasmettere questa insicurezza anche al figlio. Spesso questi genitori bilanciano uno scarso senso di controllo delle difficoltà genitoriali con strategie di iper-controllo.

Questa percezione del figlio come fragile impedisce inoltre al genitore di essere autorevole nei suoi confronti, per cui trova improprio punirlo, stabilire delle regole e mantenerle.

Questi genitori hanno la tendenza a giustificare sempre il figlio anche di fronte agli altri e talvolta anche di fronte a comportamenti scorretti. Questi genitori investono molte energie e impegno per il successo del figlio, perché questo qualifica l’immagine del genitore stesso.

I genitori iperprotettivi rappresentano un modello genitoriale dominante nella società italiana degli ultimi anni (Nardone et al. 2012), sebbene la vita attuale appaia molto più sicura di quanto non sia stata in passato.

Tratti distintivi del genitore iperprotettivo

Le preoccupazioni dei genitori iperprotettivi possono riguardare qualsiasi aspetto della vita del figlio: la salute, l’aspetto estetico, l’alimentazione, così come l’istruzione, l’attività sportiva o le amicizie. Ciò che non è direttamente controllabile da loro viene indagato attraverso molte domande rivolte al figlio su cosa fa fuori casa, chi frequenta, come si relazionano gli altri con lui, ecc.

In base all’età dei figli questi genitori possono mettere in atto diversi comportamenti.

In età prescolare tenderanno ad esempio a limitarne l’esplorazione temendo che possano farsi male, oppure accorrono immediatamente dopo una semplice caduta senza danni.

Con i figli in età scolare potrebbero preoccuparsi di organizzare loro lo zaino e i compiti da svolgere, oppure che il figlio sia vestito alla moda e abbia gli stessi giocattoli dei compagni.

In età adolescenziale infine, si assicurerebbe che il figlio sia all’altezza dello status symbol prevalente e per questo non gli farebbero mancare nulla, dal cellulare al motorino alla festa di compleanno nel locale più in.

Questi sono solo alcuni esempi, ma in linea generale i comportamenti dei genitori iperprotettivi seguono questo stile:

  • Fa molte domande al figlio per sapere e avere pieno controllo della situazione;
  • Di fronte a un problema del figlio cerca di risolverlo in prima persona e a volte se ne assume la responsabilità;
  • Cerca di anticipare e prevenire le possibili difficoltà a cui può andare incontro il figlio;
  • E’ molto coinvolto nella vita scolastica o sportiva del figlio;
  • Limita la sua libertà ed esplorazione;
  • Si preoccupa molto dell’immagine che il figlio può mostrare;
  • Ricopre il figlio di attenzioni, beni e privilegi;
  • Ha molta difficoltà a stabilire delle regole e a farle rispettare con punizioni e correzioni.

I rischi di uno stile iperprotettivo

La peggiore conseguenza dello stile genitoriale iperprotettivo è di crescere figli impreparati alla vita.

Soccorrendo sempre il figlio e gestendo la sua vita gli togliamo il bisogno di sperimentare il rischio e la possibilità di assumersi le responsabilità, perché c’è sempre qualcuno pronto a risolvere i problemi.

Ma c’è dell’altro. Sostituirsi a qualcuno equivale a trasmettere questo messaggio squalificante: “faccio tutto per te perché in fondo tu non sei capace”. Questo può sedimentare insicurezza nella personalità del futuro adulto. Quando un genitore mostra paura nei confronti di molte cose, il figlio a sua volta sarà eccessivamente timoroso e insicuro nell’affrontare il mondo.

Ci sono molti studi che mostrano una correlazione tra l’ipercontrollo parentale e l’insorgenza di disturbi d’ansia, disturbi fobici e ossessivi e sintomi depressivi (Thomasgard, 1998; Chockalingam et al, 2022).

Diffidenza verso gli altri, insicurezza, dipendenza dal sostegno dell’adulto, scarsa autostima e sfiducia sono altri possibili risvolti di questo stile genitoriale.

In adolescenza sono stati riscontrati sintomi somatici, comportamenti devianti e una tendenza a chiudersi o mentire ai genitori per sfuggire al loro ipercontrollo (Janssens et al, 2009).

C’è infine un altro rischio: non far mancare nulla al figlio può far passare l’idea che questi nella vita abbia diritto a tutto per il solo fatto di esistere, piuttosto che impegnarsi per raggiungere dei traguardi. Molti di questi figli finiscono per arrendersi senza combattere, demandando ai genitori le sfide evolutive della transizione all’età adulta.

Consigli per genitori iperprotettivi

Di fronte a tutti questi rischi ci si può chiedere: può il troppo amore fare così tanti danni? In fondo questi genitori sono così premurosi perché pensano di dimostrare in questo modo il loro amore per i figli. Ma come abbiamo visto, a fronte di un fine amorevole, i mezzi sono a discapito del figlio.

Ciò che possiamo fare se ci rendiamo conto di ricoprire di eccessive cure i nostri figli è innanzitutto immaginare che tipo di persona ci aspettiamo diventi un domani. E questo possiamo farlo già dalla tenera età.

Prima di elargire un ennesimo regalo non richiesto, prima di un mancato rimprovero o di un “pronto soccorso” al figlio, chiediamoci se questo comportamento può essere utile in un’ottica futura della sua crescita.

Altre piccole cose che possiamo fare:

  • Di fronte a un pericolo, siediti vicino al bambino e spiegagli con calma perché quello che sta facendo è pericoloso. Reazioni esagerate non porterebbero a risultati migliori;
  • Informati sulle capacità tipiche dell’età di tuo figlio: se a quell’età può già conquistare autonomia nel fare qualcosa, abbi pazienza che impari a farlo da solo e non sostituirti a lui/lei nel farlo;
  • Quando tuo figlio si fa male, conta fino a 10 per vedere come reagisce lui prima di precipitarti;
  • Di fronte a una difficoltà, chiedi prima a lui/lei come pensa di affrontarla e superarla;
  • Piuttosto che riempire di domande tuo figlio per colmare il tuo bisogno di controllo, chiedigli cosa gli è piaciuto di più di quella giornata o cosa pensa di quella data situazione;
  • Aspetta che sia tuo figlio a esprimere un bisogno prima di anticiparlo tu;
  • Confrontati con genitori che hanno uno stile genitoriale più rilassato e autorevole.

Infine, ricordiamoci che è normale voler proteggere i nostri figli dalle brutte esperienze, ma avendo sempre presente che le difficoltà sono parte della vita.

Se pensi di non riuscire a gestire da solo questo aspetto dell’essere genitori puoi rivolgerti a un professionista del One Session Center.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram

Riferimenti bibliografici

Chockalingam, M., Skinner, K., Melvin, G., & Yap, M. B. (2022). Modifiable Parent Factors Associated with Child and Adolescent School Refusal: A Systematic Review. Child Psychiatry & Human Development, 1-17.

Janssens, K. A., Oldehinkel, A. J., & Rosmalen, J. G. (2009). Parental overprotection predicts the development of functional somatic symptoms in young adolescents. The Journal of pediatrics, 154(6), 918-923.

Nardone, G., Giannotti, E., & Rocchi, R. (2012). Modelli di famiglia. Ponte alle Grazie.

Thomas, G. (1994). Genitori efficaci. Ed. La Meridiana.

Thomasgard, M. (1998). Parental perceptions of child vulnerability, overprotection, and parental psychological characteristics. Child Psychiatry and Human Development, 28(4), 223-240.

Ungar, M. (2009). Overprotective parenting: Helping parents provide children the right amount of risk and responsibility. The American Journal of Family Therapy, 37(3), 258-271.

https://www.canr.msu.edu/news/overprotective_parenting_style (consultato in data 27/06/2022).

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Come migliorare la comunicazione con i figli adolescenti

Comunicare con i figli adolescenti sembra essere un’impresa ardua. Nell’articolo di oggi andremo a vedere delle strategie di comunicazione efficaci.

L’adolescenza

L’adolescenza, dal latino “adolescere” che significa “ crescere”, è il momento della vita in cui l’individuo ottiene le competenze e le abilità utili ad assumersi le responsabilità rispetto alla futuro divenir adulto.

Questo periodo di transizione prevede un continuo mutamento e trasformazione.  Talvolta viene interpretato come squilibrio, instabilità e insofferenza.

Il ragazzo sente il bisogno di separarsi dal genitore, individualizzarsi, ma allo stesso tempo desidera la sicurezza di sentirsi amato e accolto.

In adolescenza i ragazzi si trovano quindi in una fase dello sviluppo in cui ricercano continuamente la loro identità, interfacciandosi con i diversi contesti nei quali si trovano ad interagire.

Quotidianamente prendono distanza dalle figure genitoriali, cercando di imporre il loro punto di vista e pretendendo maggiore autonomia ed indipendenza.

Quando il genitore cerca di instaurare un dialogo non è sempre facile avere la predisposizione del proprio figlio a confrontarsi, esprimersi ed aprirsi.

Genitori di adolescenti

I genitori si ritrovano a gestire un forte cambiamento nei comportamenti dei propri figli.

Ciò li porta a riflettere sul concetto di perdita, che si ripercuote sulla relazione e dunque sulla difficoltà di comunicare.

I genitori si ritrovano a gestire la perdita della relazione intima, vissuta con il proprio figlio nel periodo dell’infanzia.

Nella perdita della sicurezza, si ha difficoltà a comprendere il comportamento proprio e le reazioni altrui.

Si fatica ad essere sicuri di quello che dice e di quello che si fa.

Si creano dubbi, perplessità sulle metodologie di interazione, mettendo in discussione anche il tempo dedicato alla comunicazione.

I genitori si ritrovano a pensare alla perdita della soddisfazione di essere indispensabili a qualcuno.

“Perdita della sensazione di essere dei difensori dagli immensi poteri, in grado di tenere i figli al riparo di ogni male”. (A.Faber e E.Mazlish, 2005)

Infine c’è la paura, di dire la cosa giusta, di comprendere, di essere d’aiuto nel momento giusto, di non essere abbastanza presenti, di sbagliare.

Strategie di comunicazione

  • Mostrarsi accoglienti e disponibili nel dialogo.

Essere accoglienti significa ascoltare in modo silente il flusso di parole del proprio interlocutore senza avere pregiudizio, senza valutare e giudicare.

  • Il tono della voce deve essere sereno e privo di prediche.
  • Cercate di porre più domande. Evitate di esprimere giudizi e sentenze.

Le domande possono riguardare un particolare della situazione che vi stanno raccontando, oppure può essere utile chiedere conferma di aver compreso bene quello che vi hanno esposto.

In questo modo si sentiranno capiti, ascoltati e saranno avranno la certezza di essere stati ascoltati e compresi.

  • Evitare confronti generazionali, si verrebbe a creare troppo disequilibrio.

Nel confronto, involontariamente, si possono creare dei malintesi fra ciò il genitore ha fatto di buono e cosa invece c’è di sbagliato nel comportamento del proprio figlio.

  • Non sminuite ciò che loro vi raccontano. Ponete domande sui particolari, cercate di non farvi prendere dall’ansia e dalle preoccupazioni.
  • Ascoltare sarà un buon modo per darsi il tempo giusto per comprendere.
  • Ponete domande sul loro stato emotivo: come si sono sentiti, i loro desideri, obiettivi. Accettate i sentimenti e sappiate cogliere lo stato d’animo che in quel momento provano.
  • Non perdetevi in un eterno monologo, finiranno per non ascoltarvi .
  • Cercate di mettervi nei loro panni, essere empatici aiuta a comprendere meglio il punto di vista dell’altro.

E’ necessario avere tanta pazienza, comprensione e dare per primi l’esempio con le parole.

Se senti il bisogno di un aiuto in più, prenota il tuo appuntamento gratuito con One Session! Ci trovi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00. I nostri terapeuti ti aiutano ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti ed utilizzabili fin da subito per uscire dalla situazione problematica grazie alle tue stesse risorse!
Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.

Riferimenti bibliografici:

https://www.adolescienza.it (consultato in data 12/01/2022)

https://viverepiusani.it (consultato in data 12/01/2022)

https://www.psicoterapiarca.it (consultato in data 12/01/2022)

https://www.vivavoceinstitute.com (consultato in data 12/01/2022)

https://www.federicabenassi.com (consultato in data 12/01/2022)

A.Faber,E.Mazlish (2005). Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino, e come ascoltare perché ti parlino. Milano: Mondadori.

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Come superare la separazione dei propri genitori?

La separazione

Nel sistema famiglia possiamo individuare una conflittualità cosiddetta “normale”, caratteristica del ciclo evolutivo di un nucleo.

Una conflittualità che permette al sistema di muoversi ed evolversi verso nuove mete e nuove armonie. De Bono, nel 1993, definiva il conflitto “una situazione che richiede uno sforzo progettuale”.

Questa conflittualità fisiologica può degenerare nel momento in cui si presentano alla famiglia sfide o problemi complessi e meno scontati.

Si pensi ai comportamenti devianti in adolescenza, alla malattia, al lutto, ai problemi di dipendenza dal gioco, da droghe o da alcool.

Attraversare momenti critici o conflittuali accade a tutte le famiglie. Momenti ai quali si risponde con un riadattamento alla nuova situazione o ai nuovi ruoli.

La conflittualità coniugale è uno di questi eventi che mette in crisi l’intero sistema familiare, tenendo in ostaggio i figli dal punto di vista emotivo e relazionale.

Le relazioni possono renderci incredibilmente felici o profondamente infelici.

Esse richiedono negoziazione, compromesso, accettazione delle differenze, comunicazione.

La separazione è una risposta ipotizzabile alle relazioni infelici e caratterizzate da conflitti profondi e complessi da affrontare.

Si tratta di un evento non improvviso ma risultato di un processo più o meno lungo, che vede il deterioramento di sentimenti e rapporti.

La differenza tra chi resta insieme e chi sceglie di separarsi, in situazioni di analoga conflittualità, può talvolta essere nella modalità con cui il conflitto viene affrontato.

Ovviamente questo esclude problemi oggettivamente insanabili, come ad esempio la violenza.

Se affrontato e gestito correttamente, il conflitto può portare crescita e cambiamento. La crescita significa, assunzione di responsabilità, scelta del dialogo e del confronto.

La famiglia scandisce le diverse fasi della nostra vita, attraverso esperienze ed eventi che si imprimono nella memoria di ciascuno.

La separazione rappresenta una frattura in questi tempi. Frattura che costringe inevitabilmente ad un cambio di passo, ridisegnando individui e relazioni.

Essere figli nel conflitto

Si discute da sempre delle conseguenze della separazione dei coniugi sui figli.

È innegabile che il dissolversi del legame di coppia non sia indolore per i figli ma allo stesso tempo non siamo in presenza di una tragedia senza rimedio.

Il punto della questione è anche nella trasformazione dei costumi e dei valori.

Il tema famiglia infatti ha molteplici implicazioni sociologiche, psicologiche, giuridiche, religiose, etiche.

Di fatto la fine della coppia muove un cambiamento dei punti di riferimento di bambini o giovani.

Cambiamento che può provocare in loro incertezza, paura di perdere uno o entrambi i genitori.

Timori spesso alimentati anche dalla scarsa attenzione da parte degli adulti, concentrati sui loro problemi e dinamiche.

Separazioni e divorzi sono diventati ormai sempre più frequenti.

L’esperienza in tal senso dimostra che il disagio è passeggero se mamma e papà riescono a venir fuori dal vortice del conflitto e a tenere presente l’importanza della genitorialità che continua anche se il legame coniugale si è spezzato.

In caso contrario il disagio si cronicizza quando l’ex coppia trascina i figli nelle conflittualità, caratteristiche del momento della separazione.

Accettare che si è, nonostante tutto, genitori significa mettere in discussione atteggiamenti, scelte, comportamenti.

Significa rivedere o superare dei meccanismi di adattamento alla realtà consolidati, ma ormai inutili in questa nuova fase.

L’accettazione comporta un lavoro mentale intenso che talvolta modifica la propria identità, sia come genitore che come persona.

Non tutti potrebbero essere disposti a rivedere il proprio “copione”.

Non tutti potrebbero essere disposti a uscire dal meccanismo del senso di colpa o dell’attribuire la responsabilità all’altro.

La separazione è certamente un evento stressante e delicato in una storia familiare, in quanto comporta una riorganizzazione del percorso familiare.

Tale riorganizzazione dipenderà sia dalle risorse che dalle potenzialità di cui dispone ciascun singolo componente del gruppo famiglia.

La separazione è un processo evolutivo, dinamico che cambia le forme delle interazioni familiari, senza dissolverle (Cigoli, Gulotta, Santi, 1983).

Uno degli obiettivi del processo di rielaborazione di tale evento è proprio quello di conservare le interazioni familiari alla luce dei nuovi assetti.

Le difficoltà a creare nuovi equilibri sono da ricercarsi nella constatazione che la nascita di una coppia e la separazione di questa sono momenti nei quali entrano in gioco emozioni forti e potenti, complicate sia da riorganizzare che da accettare.

Quale aiuto dal percorso terapeutico?

La qualità della relazione tra ex coniugi influenza l’adattamento dei figli al nuovo scenario familiare.

La cooperazione, amichevole e spontanea avrà, nonostante i genitori siano in contrasto su altri aspetti, effetti positivi sui figli.

Il lavoro terapeutico deve essere improntato ad una gestione cooperativa del conflitto e ad una ridefinizione di ruoli e confini che consentirà una riorganizzazione emotiva, oltre che fisica.

Scelta per il futuro e apertura al cambiamento sono i due obiettivi essenziali a cui puntare per offrire ai figli l’opportunità di poter contare su entrambe le figure genitoriali.

Superare e integrare nel nuovo ciò che è accaduto.

La separazione è infatti allo stesso tempo, fine e inizio.

La principale paura dei figli, rispetto alla separazione e al divorzio, è pensare al futuro come ad un domani caratterizzato da angoscia e sospensione.

La sicurezza e le abitudini infatti sono venute a mancare. Se la separazione, prima e poi, viene preparata con attenzione tenendo conto degli aspetti sia educativi che relazionali di coinvolgimento dei figli allora potrà produrre effetti meno dolorosi.

La risposta ad un evento può fare una grande differenza e permettere ai figli di mantenere un legame significativo con entrambi i genitori.

Parlare e ascoltare, andando oltre le parole per evitare di chiudersi in dubbi e paure.

Un’adeguata e onesta comunicazione affettiva consentirà a genitori e figli di andare con serenità verso un nuovo stare insieme.

Consentirà inoltre agli ex coniugi di dare valore ai sentimenti dei figli, senza considerarli vittime o mezzo.

La sofferenza non verrà risparmiata, ma sarà possibile risparmiare il dolore nelle sue forme più dannose ed estreme.

Nella famiglia apprendiamo i sentimenti e le emozioni, anche quelli negativi.

L’amorevole genitorialità deve fare i conti e andare a braccetto con la disamorevole coniugalità al fine di permettere alla famiglia di continuare ad essere un solido riferimento educativo.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it

 

Riferimenti bibliografici:

Cigoli V. (1998). Psicologia della separazione e del divorzio. Bologna: Il Mulino

Iori V. (2006). Separazioni e nuove famiglie . Milano: Raffaello Cortina Editore

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Coppia e primo figlio: quando l’amore (si) trasforma

La nascita del primo figlio costituisce un punto di non ritorno nella traiettoria esistenziale sia delle persone che della coppia stessa.

L’identità delle persone viene arricchita dal ruolo genitoriale ed anche la coppia cambia, assumendo connotazioni di famiglia macroscopicamente più rilevanti.

Il passaggio da due a tre può essere tra i più desiderati da entrambi i componenti della coppia, ma costituisce una transizione impegnativa che richiede un alto livello di investimento, un giro di boa che scopre alle persone e alla coppia stessa scenari che saranno definitivamente differenti da tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento.

 “Un figlio è una granata”

Così affermava Nora Ephron, la regina della commedia romantica, nella sceneggiatura del film Heartburn.

E continuava “Questa è la verità che nessuno ti dice.

Quando hai un figlio, inneschi un’esplosione nel tuo matrimonio.

Quando finalmente la polvere si placa, la tua coppia non è più quella di prima.

Non peggiore, necessariamente.

Non migliore, necessariamente. Ma diversa, per sempre”.

Come il passaggio al cinema, dal bianco e nero al colore, o in musica, dal canto gregoriano alla polifonia, l’arrivo del primo figlio è una svolta epocale per la relazione di coppia che deve modificare i precedenti equilibri. L’armonia originale deve essere ripristina adeguandola alle nuove dimensioni di accudimento e cura.

Lo psicologo americano Jay Belsky già nel 1984 rilevò come le tre dimensioni portanti della relazione di coppia venissero trasformate in maniera sostanziale dall’arrivo del primo figlio.

Negli anni seguenti ha continuato a documentare con ricerche longitudinali che hanno seguito le coppie poi divenute famiglie, come la qualità percepita del rapporto di coppia fosse notevolmente influenzata dall’evento “diventare genitori”.

L’arrivo di un figlio amplifica le dimensioni di solidarietà e comune impegno a scapito della dimensione romantico-erotica e di quella amicale che subiscono un brusco ridimensionamento. E che potrebbe risultare fatale.

Ma l’amore?

Potrebbe venire a crearsi così il paradosso che il frutto dell’amore, quel figlio desiderato e accolto con tanto entusiasmo e disponibilità dalla coppia, si ritrovi a crescere senza più la linfa vitale dell’albero che lo ha generato.

Perché magari i neo genitori, sopraffatti dalle nottate insonni, i budget ridimensionati, le nuove responsabilità, sperimentano un’insoddisfazione crescente e potenzialmente usurante del rapporto di coppia.

Per evitare questo inaridimento e contribuire ad una equilibrata ridistribuzione delle energie, possono essere messe in atto alcune semplici strategie per custodire ed avere cura del rapporto di cui il figlio generato è espressione carnale.

(Continuate a) Fare l’amore non la guerra

La prima attenzione deve essere portata alla componente romantico-erotica.

All’inizio della fase di “transizione a genitori”, spesso si registra una specie di asfissia erotica: tutte le attenzioni sono concentrate verso l’accudimento e  non si trovano più il tempo ed le energie per i rapporti.

Quello che si può fare è ripristinare già da subito un confine spazio temporale per la coppia: individuare un momento quotidiano o almeno settimanale in cui ci si possa ritrovare senza avere l’incombenza dell’accudimento del figlio ma  si possano curare l’intimità e la confidenza reciproca.

Per riuscire occorrerà attivare una serie di risorse di rete quali eventuali nonni, amici, persone di fiducia  che sono essenziali alla coppia per poter continuare ad individuarsi come tale.

Il secondo aspetto da curare è la dimensione dell’amicalità.

I due partner devono continuare a poter esercitare quella curiosità benevolente, quell’interessamento particolare che avevano portato alla formazione della coppia stessa quando ci si era scelti e preferiti.

Guardarsi negli occhi e chiedersi con sincerità almeno una volta al giorno “Come stai?” aspettando il tempo della risposta dell’altro  è una strategia necessaria perché la familiarità di coppia non venga meno ma si possa approfondire ed arricchire di tutte le nuove esperienze in corso.

Tante più energie si riuscirà a convogliare in queste direzioni, tanto maggiore sarà la possibilità che l’asse della coppia non si sbilanci eccessivamente sulle dimensioni genitoriali e rimanga invece ben equilibrato sulla caratura di intima reciprocità che le è propria.

In conclusione…

Passare da coppia a famiglia è una fase impegnativa della vita.

Se desideri un confronto con uno psicologo che possa fornirti indicazioni più mirate alla tua situazione, sulla pagina Facebook di OneSession puoi trovare ogni martedì psicologi qualificati in Terapia a Seduta Singola per un servizio di Consulenze online gratuite.

Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo o individuare bacini di risorse che sembravano non esistere.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Belsky J., (1984). The Determinant of Parenting: A process Model, in “Child Development, 55, pp.83-96.

 

 

 

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Una fine senza inizio: il lutto perinatale

“Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento.

Ci sono gravidanze che durano anni di speranza,

eternità di disperazione”

(Marina Ivanovna Cvetaeva)

 

Cosa è il lutto perinatale

Molti sono sia gli uomini che le donne che, ad un certo punto della loro vita, sognano e desiderano per il loro futuro di diventare genitori.

Non sempre però il momento della gravidanza e dell’attesa si presenta così come viene sognata, e non si è mai preparati abbastanza e fino in fondo.

Siamo soliti parlare della gravidanza solo nel suo aspetto più tenero e meraviglioso. Da qui l’uso del termine “lieto evento”. Troppo poco si tiene in considerazione l’altra faccia della medaglia, quando la morte arriva prima della vita.

Parliamo di tutti quei genitori che sono pronti ad accogliere un bambino conosciuto dalle ecografie. Genitori felici di coronare il loro sogno con quella nuova vita. Genitori che vengono, però, bruscamente scaraventati in un dramma difficile da accettare, elaborare e trasformare: quello della morte di quel piccolo essere.

Nonostante l’alta incidenza di questo fenomeno nel nostro paese (circa il 20% delle gravidanze avviate) ancora troppo poco si parla e si conosce il significato del termine “lutto perinatale”, rimanendo così un fenomeno ampiamente sottorappresentato e socialmente negato.

Con il termine di “lutto perinatale” si fa riferimento a quella perdita causata dalla morte di un bambino che può avvenire sia nelle ultime settimane gestazionali, ma anche alla nascita o nel corso della prima settimana di vita.

Il lutto perinatale è caratterizzato “dalla perdita del bambino nato a livello immaginario, percepito come realmente presente e scomparso però prima di essere davvero conosciuto” (Simona di Paolo, 2018). Inoltre, si colloca “come fallimento della capacità di conservare e mettere al mondo la vita” (Simona di Paolo, 2018) e come evento di assoluta innaturalità, in quanto la morte la precede.

 

Il dolore per il lutto perinatale

È possibile prendersi cura di questo dolore inatteso? Cosa succede nei genitori quando un processo naturale come la nascita di un bambino si interrompe inaspettatamente?

La perdita di un figlio è l’evento più straziante, traumatico e paradossale a cui si possa assistere. Contraddice il naturale corso degli eventi che caratterizzano le relazioni. È uno shock emotivo di grande intensità che produce un lutto profondo e pervasivo.

Nel corso di studi sono stati individuate 4 fasi dell’elaborazione del lutto da parte delle persone che hanno perso un proprio caro:

  • disperazione acuta
  • struggimento
  • disorganizzazione e disperazione
  • riorganizzazione

Le stesse reazioni sono state rintracciate a seguito di un lutto perinatale, nonostante il legame fra i genitori e il bambino si stia ancora formando e la relazione non sia stata ancora instaurata.

In cosa si differenzia il lutto perinatale?

Il lutto perinatale, oltre a configurarsi come perdita affettiva con la morte dell’embrione o del feto, rappresenta anche una perdita simbolica. Questo perché va a intaccare la realizzazione del desiderio di avere un figlio e lo status sociale di maternità/paternità.

La coppia genitoriale si ritrova all’interno di un vortice emotivo. Se un attimo prima viveva emozioni di gioia per l’attesa di una nuova vita, ora viene sorpresa dall’improvvisa sofferenza per l’inatteso vissuto di morte.

La perdita di un figlio mai nato per la coppia genitoriale viene vissuta come la perdita di una nuova fase della vita o di un sogno, una gravidanza che non si conclude con la nascita di un bambino vivo.

Per tale motivo i genitori devono dare forma al proprio dolore e costruire uno spazio biografico e psichico per quella gravidanza e per quel bambino.

 

Convivere con il dolore e ricostruire la coppia

Il lutto perinatale va a toccare la coppia non solo individualmente, ma anche nelle relazioni, nella comunicazione e nella sfera intima, con la possibilità di sviluppare problematiche che possono portare alla fine del rapporto.

I genitori possono affrontare il dolore in modo differente, esprimendolo su più livelli. Questa differenza nell’espressione del dolore può portare, però, al sorgere di incomprensioni. Spesso l’altro viene valutato come “non abbastanza sofferente” solo perché ha una reazione diversa.

Affinché le incomprensioni vengano superate al meglio e il dolore dell’altro considerato e accettato così per come viene espresso, bisognerebbe lasciarsi la libertà di viverlo senza regole prestabilite.

In questo modo vi sarà la possibilità di creare un equilibrio tra il sostenere e l’essere sostenuto. È necessario trovare momenti e spazi di condivisione, di consigli e di ascolto, ma è giusto, anche, ritagliare, per chi lo necessita, momenti di maggiore solitudine (senza che questi vengano percepiti come un distacco). L’importante è, dunque, che nessuno venga mai giudicato e colpevolizzato per le proprie reazioni emotive.

In conclusione…

Se sentite che il dolore diventa insostenibile, o se percepite di star arrivando alla deriva e volete rafforzare in questo delicato momento la vostra relazione e comunicazione affinché possiate comprendervi meglio per superare insieme il traumatico evento che vi ha travolto, non esitate a rivolgervi ad uno specialista.

Grazie alla Terapia a Seduta Singola è possibile già dal primo incontro ritrovare e far emergere nuove risorse che supportano raggiungimento di un maggiore benessere.

Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.

 

 

Riferimenti bibliografici

Quartaro, RS., e Grussu, P. (2018). Psicologia clinica perinatale: dalla teoria alla pratica. Collana di psicologia della maternità. Trento: Erickson

Ravaldi, C., Vannacci, A., Farmacologo, M., & Onlus, A. C. (2009). La gestione clinica del lutto perinatale Strategie di intervento e linee guida internazionali. Lacare in perinatologia3.

Marco, D. (2013). Le madri interrotte. Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale: Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale(Vol. 75). FrancoAngeli.

Di Paolo, S. (2018). Il non riconoscimento del lutto nell’aborto precoce, possibili interventi terapeutici. State of mind (ID:157936)

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5 consigli utili per migliorare la comunicazione genitore-figlio adolescente

L’importanza di una corretta comunicazione genitore-figlio

Capita spesso che i genitori abbiano difficoltà nell’avere un dialogo aperto con i propri figli, specialmente se adolescenti. Questo può capitare poiché durante il periodo adolescenziale i ragazzi affrontano diversi cambiamenti, anche sul versante psicologico, che può renderli diversi dal bambino che i genitori erano abituati a conoscere.

Proprio in virtù dei molti cambiamenti che i ragazzi si trovano a dover affrontare, un dialogo costruttivo ed aperto con i genitori può essere di grande aiuto, specialmente nei momenti in cui ci si sente spaventati o insicuri.

Infatti, il periodo giovanile, per alcuni individui, può essere costellato di insicurezze; poterne parlare in modo sereno in famiglia potrebbe costituire il primo passo per diventare adulti più sicuri di sè. 

Nonostante sia molto importante poter avere un dialogo aperto e sereno, è altrettanto importante che i genitori comprendano che in questo periodo i figli iniziano a sentire il bisogno di avere una propria autonomia; potrebbero quindi iniziare a preferire come interlocutori gli amici, piuttosto che la mamma o il papà.

Secondo una ricerca condotta presso l’Università di Chandigarh (India), l’età e il genere dell’adolescente e del genitore influiscono sugli argomenti di conversazione preferiti dai ragazzi. Emerse che le ragazze avevano, mediamente, un dialogo più aperto, soprattutto con le madri; inoltre le madri venivano considerate dai ragazzi più aperte al dialogo e all’accettare le loro opinioni. 

La comunicazione non verbale

“Comunicare” non fa riferimento soltanto a ciò che viene detto con le parole; i messaggi verbali sono sempre corredati da una serie di indizi che trasmettiamo con il corpo e con le nostre espressioni, che trasmettono la parte “non verbale” del nostro messaggio comunicativo.

Affinché un messaggio arrivi chiaro all’interlocutore, è importante che la parte verbale e quella non verbale siano coerenti, per non generare confusione. Questo è particolarmente importante nella comunicazione con i figli, specialmente quando vengono impartite regole o si fanno delle lodi. 

Gli studi hanno riportato delle differenze, tra padri e madri, rispetto a come essi gestiscono la comunicazione non verbale con i propri figli. In particolare è emerso che, generalmente, le madri prestano maggiore attenzione alle proprie espressioni e a quelle dei figli, e che sono più accurate nell’interpretarle. Inoltre sembrerebbe che l’uso della comunicazione non verbale vari in relazione alla situazione: quando si ha difficoltà ad esprimere a parole un concetto, gli indici non verbali aumentano. 

Come migliorare il dialogo?

Lo psicologo ed educatore americano Gordon, ha individuato alcuni comportamenti che possono essere di ostacolo alla comunicazione e alle relazioni positive. Vediamo alcuni dei comportamenti che questo autore consiglia di non mettere in atto:

  1. ordinare,comandare,esigere, è normale che il figlio debba ascoltare ciò che il genitore gli dice, ma spesso fare attenzione a come ci rivolgiamo ai nostri figli può fare la differenza;
  2. dare soluzioni e suggerimenti non richiesti, a volte potrebbe essere opportuno, invece che fornire una soluzione già pronta, chiedere prima cosa il ragazzo/a ritiene sia utile fare, e aprire da li una riflessione;
  3. giudicare, disapprovare e criticare, quando i ragazzi sbagliano bisogna senz’altro farglielo notare, ma bisogna ricordare che critiche e giudizi negativi frequenti possono andare a minare l’autostima del ragazzo, specialmente in un periodo in cui la personalità si sta ancora formando. 

Questi piccoli, ma molto importanti, consigli potrebbero essere utili nel migliorare la comunicazione in famiglia; tuttavia se la situazione non migliora, prestando attenzione alla comunicazione non verbale e facendo attenzione a non usare le barriere alla comunicazione individuate da Gordon, si può richiedere l’aiuto di professionisti qualificati che sapranno individuare i nodi dei conflitti e portarli alla luce.

 

Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di psicologi formati in Terapia a Seduta Singola, che già in un incontro potranno aiutarti a trovare la soluzione.

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Genitori si nasce o si diventa? Come adattarsi all’arrivo in famiglia di un bambino!

L’emozione di diventare genitore

Diventare genitori è uno degli eventi più carichi a livello emotivo che un individuo possa vivere. Sia per gli uomini che per le donne, scoprire di essere in attesa di un bambino può far sperimentare emozioni diverse.

In particolare, è molto comune sperimentare emozioni quali gioia, sollievo, ma anche ansia ed in alcuni casi paura per le nuove responsabilità.

Secondo uno studio condotto nel reparto maternità di un ospedale portoghese, le emozioni più comuni verso il bambino nei primi due giorni dopo il parto erano positive; emozioni negative, come la paura, erano meno frequenti, ma presenti, e tendevano ad attenuarsi dopo i primi due giorni. Inoltre emerse che erano le neo mamme ad essere maggiormente spaventate per i cambiamenti.

La gravidanza e la successiva genitorialità vengono considerate dagli psicologi eventi “critici” , poichè richiedono ai neo genitori di rivedere le proprie abitudini e il proprio stile di vita. Questa consapevolezza potrebbe essere fonte di disagio o di stress, in quanto potrebbe essere necessario modificare profondamente gli equilibri precedenti.

Nonostante questo, l’opportunità di diventare genitore può favorire un profondo processo di crescita, sia personale che di coppia.

Cosa cambia nella coppia genitoriale?

Prima degli anni ’80 la ricerca psicologica tendeva ad escludere il padre, focalizzandosi sul rapporto madre-figlio; oggi si tende a riconoscere l’importanza di una sana relazione tra i genitori rispetto all’accudimento del bambino. L’esperienza della genitorialità permette alla coppia di evolversi, e alla relazione di maturare.

Spesso l’esperienza della nascita del primo figlio può comportare sostanziali cambiamenti nelle abitudini della famiglia, ripercuotendosi inevitabilmente sulla relazione tra mamma e papà. Ad esempio, avere gli orari scanditi dai bisogni e dai ritmi del bambino potrebbe richiedere di sacrificare il tempo prima destinato agli interessi.

Non tutti i genitori riescono a trovare subito un nuovo equilibrio; a volte questo processo può richiedere un periodo più lungo, ma questo non deve scoraggiare la coppia. Inoltre potrebbe succedere che la mamma dedichi molto del proprio tempo al bambino, facendo sentire il papà escluso dalla vita familiare, ed un po’ geloso dell’intensa relazione madre-figlio.

Oppure la mamma potrebbe sentirsi sommersa di responsabilità, bisognosa di maggiori attenzioni e supporto da parte del partner nella gestione del neonato. Per questi motivi, una relazione solida e orientata al dialogo tra i neo genitori rende più facile l’adattamento al ruolo genitoriale e ne accresce le competenze.

Parlare con il proprio partner delle difficoltà che si sperimentano e renderlo partecipe delle proprie preoccupazioni potrebbe aiutare la coppia a ritrovare l’agognata sintonia.

Le difficoltà di adattarsi alla nuova routine familiare

Prendersi cura di un neonato è sicuramente stancante, per via del grosso impiego di risorse che un bambino richiede. Potrebbe quindi essere frequente che i genitori si sentano stanchi e scoraggiati, magari non adatti rispetto al nuovo ruolo genitoriale.

Questi sentimenti potrebbero essere del tutto normali, e non devono far sentire i genitori inadeguati. Soprattutto per le madri è frequente sentirsi poco competenti ed avere paura a svolgere le azioni che riguardano la cura del bambino.

Avere paura o voler chiedere aiuto non rende una madre una cattiva mamma. In questi casi può essere utile rivolgersi al pediatra di fiducia per avere rassicurazioni in merito. In alternativa potrebbe essere utile richiedere un supporto psicologico per ricevere aiuto da parte di professionisti qualificati. A volte anche un singolo incontro può bastare per riuscire a gestire meglio lo stress e i cambiamenti.

Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati ed uscire in tempi brevi dalla situazione di disagio.

 

Dott.ssa Fulvia Mariagrazia Messina

 

Bibliografia

Benvenuti P. (2008), Psicopatologia nell’arco della vita. Seid Editori

Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics

Figueiredoa B., Costaa R., Pachecoa, A. & Paisb A. (2007).

Mother-to-infant and father- to-infant initial emotional involvement. Early Child Development and Care, 5, 521-532.

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Separarsi senza i guantoni da boxe. Famiglie unite di genitori separati: riflessioni e suggerimenti affinché a divorziare sia soltanto la coppia. Non i genitori.

L’amore è eterno finché dura

Sebbene non siano trascorsi neanche 50 anni dall’introduzione della legge sul divorzio in Italia (legge 898 del 1 dicembre 1970) il puzzle del tessuto sociale, assieme a quello familiare e normativo di riferimento, appare profondamente mutato da allora.

Separazioni e divorzi sono entrati a far parte sempre più della nostra jungla quotidiana: lo evidenziano anche gli studi demografici.

Secondo l’Istituto nazionale di Statistica (ISTAT), nel 2015 in Italia sono stati celebrati 194.377 matrimoni (4.600 in più rispetto al 2014), sono avvenuti 82.469 divorzi e 91.706 separazioni (il 2,7% in più rispetto al 2014). Sempre l’Istat rileva che la separazione viene chiesta, in media, dopo circa 17 anni dal fatidico sì.

Nel 2015 sono state il 23,5% le coppie che hanno deciso di separarsi dopo almeno 25 anni di matrimonio; 12,1% la percentuale dei coniugi che hanno deciso di lasciarsi prima dei 4 anni dal lancio del bouquet. Con l’introduzione del cosiddetto divorzio breve (legge 55 del 6 maggio 2015) inoltre, il numero dei divorzi è aumentato del 57% rispetto all’anno precedente (http://dati.istat.it).

I delicati fiori di arancio resistono sempre meno. Forse è meglio puntare su una bella pianta grassa.

Coppie separate, famiglie unite

Il primo a porre l’attenzione sulla complessità sottesa all’evento della separazione e del divorzio fu lo psicologo P. Bohannan (1970), il quale identificò sei dimensioni, utili a descriverne i diversi aspetti implicati: legale, economico, comunitario, emozionale, psicologico e genitoriale.

Quando una coppia si separa, secondo Bohannan, la persona può incontrare difficoltà in tutti gli ambiti contemporaneamente oppure soltanto in alcuni di essi. Laddove nella coppia che si separa vi siano figli, ancora di più la finalità del divorzio deve essere esclusivamente quella di porre fine al matrimonio, non alla genitorialità.

Frequenti invece sono i casi, all’interno delle coppie separate con figli, di un mal gestito divorzio genitoriale, caratterizzato dalla presenza di conflitti tra gli ex coniugi perenni, espressi palesemente con sfuriate e litigi telefonici, e in alcuni casi con denunce per futili motivi, oppure sotterranee, manifestate con boicottaggi che si tramutano in una scarsa partecipazione alla vita dei figli e delle loro scelte, con l’unico risultato di conseguenze devastanti sullo sviluppo emotivo della prole, della loro sicurezza psicologica, del senso di appartenenza e stabilità interiore.

Come sostiene la psicologa A. O. Ferraris (2014), infatti, coloro che si separano devono fin da subito il compito di sforzarsi di distinguere il ruolo genitoriale, che rimarrà per tutta la vita, dal ruolo coniugale, che appartiene invece a una vecchia fotografia incorniciata sopra il camino.

La separazione non è un incontro di boxe

Così come non esiste un unico prototipo di famiglia, non esiste un unico modello di divorzio a cui fare riferimento o provare ad imitare. L’unica cosa certa, come dice Lev Tolstoj, è che “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.”

Nonostante la diversità e complessità delle singole situazioni è bene tenere a mente alcuni semplici suggerimenti:

  1. Mai litigare davanti ai figli. Mai. Neanche se sono nell’altra stanza a far finta di studiare o ad ascoltare la musica.
  2. Mai parlare male dell’altro genitore, pure se questo come ex coniuge vi ha deluso, tradito, squalificato. Se non siete riusciti a salvare il vostro matrimonio, puntate sul vostro ruolo genitoriale. Probabilmente, se vi impegnate e ve lo permettete, stavolta come genitori andrà meglio.
  3. Coinvolgete sempre l’altro genitore nelle scelte e decisioni, sia piccole che grandi, che riguardano i vostri figli: da quale indirizzo di studi scegliere a quale zaino sia meglio acquistare per il campo scout. Garantite la compresenza nei momenti importanti: ai colloqui con i professori, la prima partita di calcio, il suo compleanno. Cercate nell’altro genitore un alleato, non un avversario da stendere al tappeto. La famiglia non è un ring. Abbassate la guardia. Togliete guantoni, caschetto e para colpi. Decisioni condivise e comunicazioni chiare aiutano a sentirsi all’interno di una famiglia unita, solida e speciale, anche quando non si abita più tutti sotto lo stesso tetto.
  4. I vostri figli sono la cartina torna sole di come avete lavorato come genitori (non come coppia). Se vi sembrano persone fiduciose, aperte a nuove esperienze, dentro come fuori casa, serene con voi e con l’altro genitore, nonché con le rispettive famiglie di origine (nonni, zii, cugini ecc.), fatevi i complimenti: avete lavorato bene!

Se invece i punti sopra descritti vi sembrano impossibili da raggiungere, se pensate di essere tra le persone coinvolte in un divorzio genitoriale, la cosa migliore da fare in questi casi è quello di rivolgersi ad uno psicologo o alla figura di un mediatore familiare.

Attraverso la Terapia a Seduta Singola, per esempio, potete ottenere risultati e raggiungere obiettivi già dal primo incontro, non solo per voi stessi come singoli individui, ma anche come coppia genitoriale, restituendo solidità ed efficacia al vostro ruolo di genitori. Perché dai figli non si dovrebbe mai divorziare.

Monica Patrizi

Bibliografia e Sitografia

Ferraris A. O. (2014) “Dai figli non si divorzia. Separarsi e rimanere buoni genitori” Edizioni BUR http://dati.istat.it.

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Avete intenzione di creare una famiglia allargata? Come comportarvi con i vostri figli?

Ti sei separata da molto tempo ma ormai con i tuoi figli sei riuscita a ritrovare il giusto equilibrio nonostante inizialmente sia stata molto dura.

Uomini? Forse fino qualche tempo fa proprio non ci pensavi a un’altra relazione ma senza aspettartelo, ora ti sei innamorata di nuovo e per di più di un uomo separato e con un figlio. Vi amate, state bene e magari vorreste andar a vivere insieme.

Solo una cosa vi preoccupa, come comportarvi con i vostri figli? Come potrebbero prenderla?
Tranquilli, le famiglie che dopo una separazione si riuniscono dando vita a famiglie allargate sono sempre di più oggi e se possono rappresentare una risorsa per i vostri figli dipende solo da voi genitori.

Per funzionare bene è necessario che sia te che il tuo partner vi comportiate in modo equilibrato, garantendo ai vostri figli stabilità sia a livello emotivo che a livello pratico. I bambini hanno bisogno di punti di riferimento e di equilibrio, per questo è necessario che nella costruzione di una famiglia allargata, si proceda per gradi, per dargli modo di abituarsi al cambiamento e per creare così un nuovo equilibrio.

Sicuramente, una delle prime cose che dovrete fare, è preparare i vostri figli all’arrivo del nuovo partner, dialogando con loro e spiegandogli la situazione in modo chiaro. La creazione di una famiglia allargata, è un momento particolarmente delicato per loro, dovendo dare un nuovo significato al ruolo della nuova figura che entra a far parte della famiglia.

Potrebbe accadere che i vostri figli non siano ancora pronti ad accettare una nuova persona in casa e in questo caso meglio non forzarli. Bisogna aspettare che elaborino la separazione, che accettino il fatto che il loro papà non vive più con loro e capiscano nello stesso tempo che nonostante ciò, i loro genitori “rimangono i loro genitori“.

E’ quindi essenziale che, la relazione tra i tuoi figli e il nuovo partner si costruisca gradualmente, giorno dopo giorno. Il tuo nuovo partner non è necessario che faccia gesti eclatanti per farsi accettare, dovrebbe semplicemente essere se stesso e mostrarsi per quel che è.

Potrebbe capitare che tra i tuoi figli e il tuo nuovo partner non ci sia subito affiatamento e questo potrebbe dipendere da diversi motivi: per incompatibilità caratteriali; perché i vostri figli potrebbero aver paura di ferire l’altro genitore accettando un’altra persona in casa o ancora perchè potrebbero aver paura di soffrire per un’altra eventuale separazione e quindi preferiscono evitarla. Oppure potrebbe capitare il contrario, e cioè che tra loro ci sia affiatamento fin da subito.

Un’altra cosa che dovreste tenere in considerazione per il benessere dei vostri figli, nel caso in cui anche il vostro nuovo compagno ne avesse, è di non imporre immediatamente che si conoscano.
Fate un passo alla volta, valutate se la relazione è stabile, date ai vostri figli il tempo di accettare il nuovo partner e poi successivamente potrete fargli conoscere i suoi figli.

Nonostante abbiate accettato ed elaborato la separazione e ora siete pronti per una nuova relazione non dimenticatevi che prima di tutto siete dei genitori, e come tali dovete pensare che i vostri figli hanno bisogno di voi, hanno bisogno di punti di riferimento che gli possano spiegare come e perché la situazione familiare sta cambiando, altrimenti potrebbero rischiare di crescere nella confusione.

Per questo motivo è importante che gli spiegate cosa succede e che li aiutate ad elaborare quello che stanno vivendo. Se però pensate di avere bisogno di aiuto, non vergognatevi, non sarete dei cattivi genitori per questo. Rivolgetevi ad un terapeuta che possa aiutarvi a gestire questa situazione.

Non servono terapie interminabili, in molti casi si è osservato che anche dopo una singola seduta di terapia, è possibile ottenere degli ottimi risultati. Non aspettare ancora per contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.

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Avete deciso di separarvi e la cosa che più vi preoccupa di più sono i vostri figli? Eccovi 5 regole per farli crescere sereni

Avete cercato di recuperare la situazione in tutti i modi, di resistere il più possibile ma avete capito che l’unica soluzione è separarvi?

Avete riflettuto tanto e compreso di non poter fare diversamente, ma ora il senso di colpa per i vostri figli vi tormenta?

Pensate che per colpa vostra non potranno più crescere tranquilli e sereni?

Credetemi, non è detto che i figli di genitori separati debbano essere per forza sofferenti, la separazione se ben gestita, nonostante sia un momento doloroso rende comunque possibile crescere un bambino felice e sereno.

D’altronde la felicità e l’infelicità sia vostra che loro dipende fondamentalmente dai rapporti e dalle condizioni di vita che stabilirete dopo la separazione. I vostri bambini si riprenderanno facilmente da questo evento e supereranno senza troppe difficoltà il dispiacere e il disagio legati alla situazione se anche voi saprete recuperare velocemente la vostra serenità.

Se dopo la separazione saprete concentrarvi sul vostro compito di genitori e quindi fornire ai vostri figli stabilità, amore, disciplina, sensibilità e tutto ciò di cui hanno bisogno, loro riusciranno ad essere emotivamente stabili senza troppe complicanze.

Però, perché i vostri figli non subiscano traumi e possano crescere sereni, è essenziale che voi teniate conto di alcune regole:

  1. La prima regola che dovete tenere a mente è di non coinvolgere i vostri figli nei conflitti che riguardano solo voi. Loro non sapendo realmente come stanno le cose, potrebbero sentirsi in colpa o la causa dei vostri litigi.
  2. Siete indecisi, confusi se è giusto separarvi oppure no? Benissimo!
    Riflettete pure, meglio non prendere decisioni affrettate. Certo se l’indecisione è di restare insieme “per il bene dei vostri figli”, come sostengono alcuni genitori, sappiate che a loro in realtà fa malissimo. Se ci sono delle tensioni, i figli sono i primi a percepirle.
  3. Avete deciso di separarvi ma ora come dirlo ai vostri figli?
    Parlate con loro a decisione presa e ad animi tranquilli. Non aspettate troppo per farlo e mi raccomando non teneteli allo scuro. Siate chiari sui vostri rapporti e non date adito a inutili speranze. Affrontate il discorso tutti insieme, in modo tranquillo, lasciate da parte i sentimenti negativi che provate reciprocamente e cercate di trasmettergli solo sicurezza e fiducia, senza svalutare o sminuire il vostro coniuge davanti a loro.
  4. I vostri bambini, per stare bene, hanno bisogno di ritrovare il prima possibile una stabilità, per questo dovete concentrarvi sulla costruzione di una nuova routine utile a ristrutturare sia la vostra nuova vita di genitori che la loro.
  5. Informate della vostra separazione gli insegnanti a scuola, gli allenatori sportivi o comunque gli adulti delle attività che frequentano. Se sono già a conoscenza della vostra situazione, è probabile che vostro figlio si confidi volentieri con qualcuno di loro proprio perché esterno all’ambiente familiare. Oppure, potrebbe capitare che a scuola o durante l’attività sportiva vostro figlio potrebbe manifestare un disagio che a casa reprime, in tal caso, se gli adulti sono già a conoscenza della situazione, sapranno come contenerli.

Vi siete separati, vivete in case diverse ma nonostante ciò non dovete mai dimenticarvi che rimanete comunque genitori e dovete comportarvi come tali.
I vostri figli devono sentire che vi occupate di loro e possono contare sulla presenza di entrambi anche se non vivete più sotto lo stesso tetto.

Essere presenti e buoni genitori anche a distanza è possibile!

Se però siete preoccupati di non riuscire a saper gestire in modo corretto la separazione e le sue conseguenze, se vi accorgete di non riuscire a mettere in pratica le regole appena riportate, allora provate ad affidarvi ad un terapeuta esperto in materia.

Si è osservato che anche dopo una singola seduta di terapia potete ottenere degli ottimi risultati. Non aspettare a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.

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I primi 3 passi per uscire da una relazione tossica

Ti senti spesso triste e in ansia?
Ormai senza quasi accorgertene dai sempre precedenza alle esigenze e i bisogni del tuo partner trascurando i tuoi?
Per evitare discussioni con lui scendi di continuo a compromessi senza imporre mai le tue volontà?

Se non ti senti serena e libera di esprimerti in modo naturale, se ti senti insicura e sola, se ti accorgi di essere in una relazione in cui hai paura di essere te stessa, allora credo proprio che non sia una relazione propriamente sana.

In una relazione accade spesso che ci siano incomprensioni, momenti o comunque dinamiche con il proprio partner che non ci rendono molto appagate e felici, ma questo è normale se gli episodi avvengono sporadicamente o se capita in periodi particolari, magari periodi in cui ci sono dei cambiamenti. D’altronde si sa, non esiste una relazione totalmente perfetta.

Certo! Il discorso è diverso se la tua tristezza, il tuo sentirti insicura, infelice, la tua frustrazione rispetto quelli che sono i tuoi desideri e bisogni sempre trascurati e tutti gli stati d’animo negativi che ne derivano, rappresentano la quotidianità o quasi. In tal caso parliamo di veri e propri campanelli d’allarme di una relazione tossica che sarebbe meglio cercassi di risolvere. Ma se hai già provato a farlo senza alcun risultato, allora sarebbe meglio chiuderla prima che peggiori.

Meglio che eviti di ritrovarti in situazioni pericolose da cui uscire diventa sempre più difficile e doloroso, non credi? Rifletti sui motivi che ti spingono a continuare questa storia d’amore che non ti rende più felice.
Forse la paura della solitudine o la voglia di condivisione ti spingono ad accettare questa relazione anche se ti rende la vita impossibile e infelice.

Tranquilla, non sentirti sbagliata, può succedere che il bisogno di ricevere amore e attenzioni possa averti fatto scambiare una relazione difficile e malata come l’unica via per essere felice. Ma credimi, puoi essere felice anche senza avere una relazione!

L’amore deve portare serenità e benessere non dolore e sofferenza!

Non devi aver paura di rimanere sola. Impara a volerti bene e darti il valore che meriti, solo in questo modo riuscirai ad essere felice e a vivere una storia d’amore serena. Nel momento in cui imparerai a dedicarti con amore a te stessa, vedrai che attirerai le relazioni e gli uomini che meriti. Se ci pensi, come potresti amare qualcuno se per prima non ami te stessa?

Ma vediamo, come puoi fare per uscire da questa relazione tossica, da questo rapporto malato che forse sarebbe opportuno interrompere il prima possibile? Eccoti di seguito i primi 3 passi da fare:

  1. Prima di tutto devi riuscire ad ammettere che la relazione che stai vivendo è una relazione disfunzionale che ti rende insicura e infelice. Per questo sarebbe opportuno seguire una psicoterapia che ti permetta anche di comprendere le possibili motivazioni che ti hanno portato a continuare a vivere una relazione divenuta tossica.
  2. Osserva attentamente la situazione e comincia a riflettere su come poterla risolvere, sul “piano d’azione” da mettere in atto, ai passaggi necessari che dovrai affrontare per chiuderla. Considera quindi tutte le possibili difficoltà che ti si potranno presentare una volta che avrai deciso di chiudere definitivamente la relazione, e come affrontarle. Soprattutto se nella vostra relazione è presente violenza fisica. Devi cercare di prevedere ogni cosa non solo per la tua sicurezza, ma anche per quella dei tuoi eventuali figli.
  3. Passa all’azione mettendo in pratica tutto quello che hai pianificato precedentemente. Nelle relazioni sentimentali sane è opportuno comunicare di persona la decisione di chiudere la relazione, mentre in quelle tossiche, a volte è preferibile andarsene quando il partner è assente per evitare violenza e scenate pericolose o comunque utilizzare altre vie come il telefono, l’email o altro ancora.

Senti di farcela? Lo so, immagino non sia facile, ma posso garantirti che puoi uscire da questa difficile situazione. Se ti senti troppo fragile e senti di non potercela fare da sola, affidati a un terapeuta che sostenendoti ti indicherà la strada da seguire per uscire da questa relazione tossica.

Pensa, è stato dimostrato che, già dopo una Singola Seduta puoi ottenere dei risultati inaspettati. Cosa aspetti quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.

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I no che aiutano a crescere: quando la crescita passa attraverso il divieto

Il “dire di no” è un modo che un genitore ha per far crescere e sviluppare il proprio figlio. Il “no” infatti è sinonimo di divieto, ma anche di regole e di disciplina. Porre dei limiti all’esuberanza dei bambini è talvolta fondamentale per la loro stessa crescita. La psicologa Phillips considera per questo il “no” come un vero e proprio strumento di crescita.

Tuttavia, per far sì che i no fungano da reale aiuto per la crescita, è doveroso dosarli e utilizzarli con parsimonia. Non basta, ovvero, dire di no per far crescere un bambino: bisogna comunicargli anche il significato che si cela dietro quel no. O, quantomeno, farglielo capire.

Il periodo dei no compare durante l’infanzia, intorno ai due anni, e in adolescenza. In entrambi i periodi, sotto una diversa prospettiva, iniziano i primi contrasti tra la genitorialità e i figli.

L’età dei no: l’infanzia e la genitorialità

Durante l’infanzia, il no dei genitori risponde al no dei figli. I bambini, cioè, a partire dai due anni, iniziano a utilizzare l’espressione “no!” per affermarsi e costruire la propria differenziazione. Ovviamente siamo ancora agli inizi del processo di crescita, e i no riguardano, ad esempio, il non voler andare all’asilo, il non voler fare i compiti o il non voler mangiare un determinato cibo.

Talvolta i bambini di quell’età dicono no a tutto, compreso quello che vorrebbero fare, solo per il gusto di sperimentare. Dichiarare l’indipendenza, seppur ancora illusoria, diventa un primissimo modo, così, per affermarsi e assumersi delle leggerissime responsabilità. E’ proprio per tale motivo che le proteste infantili di questa età vanno normalizzate, perché il rifiuto è spesso sinonimo di uno sviluppo mentale corretto.

Il compito dei genitori, in questa delicata fase dell’infanzia, è quello di rispondere ponendo dei limiti e dando delle regole. A quell’età, infatti, il bambino è in preda a una voglia di vivere immensa, si sente “onnipotente” e vuole a tutti i costi fare solo quello che gli piace. E come non dargli ragione!

Una genitorialità salda e responsabile, tuttavia, riesce a porre dei limiti a questa esuberanza ponendo, per l’appunto, dei “no”. Limiti che non devono essere paragonati soltanto a divieti, ma come a delle vie d’uscita per una crescita più sana. E’ come se il bambino si trovasse, a partire dai due anni, a dover percorre da solo una strada piena di bivi e deviazioni. Il compito dei genitori è dunque quello di direzionare il figlio lungo la strada corretta. E per farlo, necessariamente dovrà dire: “No, quello non si fa!”.

Si ma… quali no aiutano a crescere?

Il non dire mai di no, anziché far bene, potrebbe avere delle conseguenze negative nella crescita dei bambini. E’ chiaro, però, che anche dire sempre di no potrebbe avere delle conseguenze altrettanto negative. Rischiando di fare un gioco di parole, pertanto, occorrerebbe darsi dei limiti nel dire di no.

A tal proposito, Phillips ha elencato una serie di no che è doveroso dare ai bambini di due anni per aiutarli a crescere.

  • uno di questi è, ad esempio, il vietare ai bambini di dormire sempre in braccio alla madre: si rafforzerebbe l’idea che solo la madre è sinonimo di sicurezza e amore;
  • altro no fondamentale riguarda il non dargli sempre cibo quando il bambino piange: gli si insegnerebbe che il cibo è la panacea di tutti i mali e, nel tempo, potrebbero sorgere problemi alimentari.

Non bisogna, inoltre, andare in ansia se il bambino piange o è capriccioso. Spesso in questi casi gli si da un “contentino” per farlo stare buono. In realtà, così facendo, gli si comunica un messaggio di insicurezza, quando lui invece aveva bisogno solo di un po’ di conforto e comprensione. Finirebbe, in definitiva, per non imparare a gestirsi da solo: se i bambini, infatti, non imparano a sforzarsi per ottenere ciò che vogliono, potrebbero non sviluppare mai una sana motivazione interna.

Lo stesso, in un certo senso, vale anche per lo svezzamento. E’ importante dire di no, in questo caso, per permettere al bambino di aprirsi al mondo, e non rimanere legato in un rapporto esclusivo madre-bambino.

Per uguale motivo, altri no che aiutano a crescere sono:

  • non farlo/a dormire tutte le notti nel lettone;
  • non assecondarlo/a troppo;
  • non permettergli di ottenere sempre e subito quello che vuole.

E l’adolescenza?

Al di là dell’infanzia, è inevitabile che i no più duri e oppositivi arrivino anche in un’altra fase delicatissima della vita: l’adolescenza. In questo periodo i contrasti tra genitori e figli sono spesso molto più cruenti, e nascondono significati ben più profondi rispetto a quelli infantili.

Il desiderio di indipendenza e di autonomia nei ragazzi è infatti ben più forte, così come il significato che dietro ad essi si cela. Il no di un adolescente equivale a una ferma opposizione e affermazione della sua individuazione. Se riprendiamo l’esempio della strada di prima con tanti bivi e deviazioni, sarà più difficile, in questo caso, mantenere il ragazzo lungo la giusta via di crescita.

Difficile, ma non impossibile. Esseri bravi genitori, in tale circostanza, significa anche dire di no ai propri figli, pur lasciandoli andare. A volte sono necessarie molte sofferenze e sacrifici, ma il sorriso e la maturità che alla fine della strada il bambino-ragazzo vivrà, sarà di ineguagliabile valore!

Bibliografia

Philipps, A. (1999). I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano.

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La nascita di un figlio

Che c’è di più bello al mondo dell’avere un figlio? Allo stesso tempo, però, cosa c’è di più complesso dell’adattarsi alla venuta di un figlio? All’interno di un solo articolo, forse non riuscirò a spiegarti tutti i meccanismi psicologici ed emotivi sottesi a questo evento. Eppure ti assicuro che sono molti i cambiamenti che vivono una neomamma e un neopapà. Non solo: un figlio porterà con sé importanti mutamenti anche nella coppia genitoriale.Analizziamone i principali.

Quello che le mamme non nascondono

Due fattori caratterizzano l’impatto emotivo e psicologico della nascita di un figlio su una madre: la desiderabilità del bambino e la capacità di adattamento al nascituro.

Supponiamo che il figlio sia desiderato e voluto. Normalmente una madre sentirà un senso di appagamento alla sua nascita, ma al contempo diambivalenza emotiva nei suoi confronti. Appagamento perché, al vedere il figlio per la prima volta, una donna si renderà conto di essere diventata davvero “madre”. Dopo mesi passati soltanto a immaginare il bambino, ecco che l’avrà lì davanti a sé, in carne e ossa! E come piange!

Ambivalenza emotiva, invece, perché una neomamma dovrà adesso adattarsi a un nuovo tipo di rapporto. Fino a poco prima della nascita, infatti, la donna viveva con il proprio figlio un rapporto intimo e privato: lo portava, ovvero, nel proprio grembo, lo sentiva parte di sé. Vederlo “fuori di sé” la scombussolerà non poco: dovrà adattarsi al percepirlo come un essere a sé stante, diverso. La neomamma dovrà, in definitiva, cambiare le priorità della sua vita: dal momento della nascita, il figlio dipenderà da lei in tutto e ogni cosa dovrà essere fatta per soddisfare le sue necessità.

Finché la donna non avrà trovato un equilibrio in questo nuovo rapporto col figlio, e non lo accetterà come “diverso da sé”, l’ambivalenza emotiva nei suoi confronti sarà inevitabile. Sembra niente, ma è proprio dal mancato adattamento alla nuova situazione, che possono generarsi molte sofferenze psicologiche. Per citartene solo alcune: depressione, sensazioni di inadeguatezza e di colpa, in certi casi addirittura trascuratezza o rifiuto totale del figlio.

“Mamma, ho bisogno di papà!”

Per capire bene la situazione del neopapà, ti propongo una metafora calcistica. E’ come se la donna fosse in campo dall’inizio alla fine della partita, mentre l’uomo è costretto a giocare solo i primi minuti, per poi stare in panchina finché la partita (la gravidanza) non sarà finita. E allora qual è il suo ruolo? Incitare! Incoraggiare! Sostenere la donna in questo suo lungo viaggio di nove mesi!

Il padre, comunque, dopo il taglio del cordone ombelicale, si inserirà a tutti gli effetti all’interno di quella relazione madre-bambino fino ad allora esclusiva. All’inizio, tuttavia, il rapporto padre-figlio, non sarà così intimo e simbiotico come quello madre-figlio. Nei primi mesi, il ruolo del padre è, in un certo senso, di supporto alla relazione madre-bambino, nella speranza di inserirsi quanto prima tra di loro.

Sarà lui, peraltro, che si occuperà delle cose pratiche, come l’iscrizione all’anagrafe, nell’attesa di trasformare la relazione madre-figlio in una relazione madre-figlio-padre, fondamentale per la crescita del bambino. Il padre giocherà in futuro, infatti, un ruolo vitale nel consentire al figlio di “separarsi” dalla madre e avviarsi, gradualmente, verso la vita adulta.

Il neopapà, di conseguenza, vive più psicologicamente, che fisicamente, la nascita di un figlio. Anche per lui, però, l’adattamento non sarà facile. Nel neopapà, non a caso, subentrano spesso sentimenti di esclusione, estraneità, persino depressione, qualora trovasse difficoltà ad abbracciare questa nuova dimensione del vivere. La nascita di un figlio rappresenta una grande ondata di emozioni e cambiamenti per la sua vita, cui a poco a poco dovrà anche lui adattarvisi.

Donna: non ti riconosco più, uomo

Stai pensando se tutto ciò di cui ti ho parlato può influenzare la vita di coppia? Enormemente! La relazione d’amore tra un uomo e una donna cambia radicalmente con la nascita di un figlio. Tutti i cambiamenti fisici, psicologici e relazionali, cioè, incideranno nella coppia che, al contempo, dovrà adattarsi anch’essa all’arrivo di un “estraneo”. Questo perché il figlio assorbirà molte delle energie e dell’attenzione sia del padre che della madre, specialmente nei primi mesi di vita.

Ci sono coppie il cui sodalizio è tale che l’adattamento alla nuova vita sarà quasi immediato. Altre, invece, avranno bisogno di un sostegno esterno, per riuscirci. Il rischio di cadere in atteggiamenti negativi, di rattristirsi in sentimenti di gelosia (più o meno coscienti) o di esclusione, è sempre dietro l’angolo. Sostegno psicologico di cui si avrà la necessità anche qualora soltanto uno dei due, padre o madre che sia, non sarà in grado di adattarsi alla nascita del figlio.

Qualsiasi evento, pertanto, potrà minare, oltre che la salute psicologica del singolo genitore, anche la salubrità della relazione uomo-donna. Per la coppia la nascita di un figlio è come essere investiti da un’ondata di novità talmente elevata, da cui è difficile ridestarsi subito. La soluzione ideale sarà trovare la strada giusta per accedere a una relazione di coppia che, al suo interno, dia il benvenuto all’immensa gioia e consapevolezza dell’aver messo al mondo un figlio.

Bibliografia

 

Marinopoulos, S. (2008). Nell’intimo delle madri: luci e ombre della maternità, Feltrinelli, Milano.

Volta, A. (2012). Mi è nato un papà: anche i padri aspettano un figlio, Feltrinelli, Milano.

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