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Tags Archives: relazioni sociali

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Come imparare a dire di no

Vuoi imparare a dire di no?

Prima però ti racconto delle mie vacanze…

Questa estate sono andata a fare un bellissimo viaggio alle Baleari insieme al mio compagno. Una sera, camminando per le vie del centro di Minorca, sono rimasta catturata da un paio di sandali in una vetrina: di istinto, senza neanche guardare l’orologio, sono entrata all’interno del negozio. Con mia grande sorpresa sono stata messa alla porta dalla commessa, che con tono educato ma deciso ha esclamato:“Disculpe, está cerrado!” (trad. “perdonami, siamo chiusi!”). Ricordo come se fosse ieri di essere rimasta basìta, mi sono voltata verso il mio compagno e ho commentato: “ma ci rendiamo conto? Ma solo io se un cliente mi si presenta ad orario di chiusura ufficio lo accolgo lo stesso?” e lui, seraficamente, mi ha risposto: “eh mi sa di sì! Forse potresti imparare a fare come la signora!”.

Ho scelto di iniziare l’articolo di oggi con questo aneddoto di vita vissuta per affrontare un argomento sempre più attuale: la difficoltà che alcune persone hanno a dire di no di fronte alle continue richieste degli altri.

Che cosa significa non saper dire di no?

Immaginiamo di trovarci al lavoro. Siamo alla fine di una lunga giornata, pronti ad uscire finalmente dall’ufficio, quando il capo si palesa sulla porta, con un’espressione allarmata sul viso: “sai, dobbiamo assolutamente fare questa cosa entro domani mattina ma io devo proprio scappare…potresti trattenerti tu oltre l’orario previsto oggi?”

Oppure potremmo ricevere, proprio prima di spegnere il pc, un’email da parte di un nostro cliente. L’oggetto “URGENTE” già la dice lunga sul contenuto: “so di essermi ridotto tardi ma ho assolutamente bisogno di questo preventivo, grazie di inviarmelo entro un’ora!”

Per non parlare di quando nostro figlio, di fronte all’ennesimo elenco di compiti da fare per la scuola, irrompe piagnucolando nel salone e ci chiede: “ti prego mi aiuti? Non mi va proprio di farli!” magari giusto nel momento clou di quel film che stavamo vedendo.

In ognuna di queste situazioni, ci sentiremo come di fronte ad un bivio: dire di sì oppure dire di no alla richiesta che ci è stata avanzata da persone per noi importanti, in un modo o nell’altro.

Scegliere di dire sì spesso è la soluzione d’elezione, per tanti motivi: il primo è sicuramente l’educazione e la sincera volontà di aiutare l’altro, in evidente stato di difficoltà. Fare del bene agli altri, può regalare un piacere che scalda il cuore e fa sentire in pace perché si è fatta “una buona azione”.

Senza contare la speranza di ottenere in cambio la benevolenza dell’altro o una ricompensa per la nostra disponibilità.

Nel caso di un datore di lavoro ad esempio, potremmo ambire ad una promozione: “se dirò di sì e mi fermerò fuori orario, il capo si renderà conto di quanto io sia indispensabile e mi premierà di conseguenza”.

Il nostro cliente magari, di fronte alla nostra tempestiva risposta, probabilmente acquisterà il nostro prodotto e ci sceglierà di nuovo nel futuro.

Nostro figlio infine, apprezzerà di avere un genitore sempre prodigo nel sostenerlo e grazie al nostro aiuto prenderà degli ottimi voti a scuola.

Aspettarsi qualcosa in cambio dei nostri sì, tuttavia, potrebbe aprire la porta a qualcosa di molto diverso dall’altruismo sincero e disinteressato: pur di ottenere l’approvazione degli altri e la loro riconoscenza, potremmo iniziare a dire sempre di sì, non solo quando effettivamente lo vogliamo, ma anche quando preferiremmo fare qualcosa di diverso.

Questo comportamento inizialmente positivo per noi, se ripetuto nel tempo, può quindi diventare un’abitudine problematica.

Gli altri infatti, a forza di chiedere aiuto da noi e riceverlo, potrebbero iniziare a pretenderlo sempre di più. Del resto dal loro punto di vista, se abbiamo detto di sì una volta, potremmo benissimo farlo di nuovo. E ancora, ancora e ancora.

Di conseguenza, noi ci sentiremo obbligati a dire nuovamente di sì, incastrandoci in un loop senza fine. Impossibile a questo punto iniziare a dire dei “no” anche quando vorremmo farlo: il rischio di passare improvvisamente per “i cattivi” della situazione, sarebbe troppo alto e intollerabile.

Quali sono le conseguenze del non riuscire a dire di no?

Potrebbe capitarci di renderci conto che la nostra grande disponibilità è diventata a tutti gli effetti una strada a senso unico. Siamo sempre pronti a dare agli altri, più di quanto diamo a noi stessi e riceviamo.

Anteponiamo i loro bisogni ai nostri e invece di sentirci pieni di gioia per questo, ci iniziamo a sentire svuotati.

Eppure nonostante ciò, non riusciamo proprio a pronunciare quella parola che potrebbe fermare tutto: un semplice “no”.

Il solo pensiero di rifiutarci di dare l’aiuto che ci viene richiesto ed è ormai diventato atteso, ci fa sentire in colpa.

In questi casi, di fronte ad una nuova richiesta, potremmo iniziare a sentire uno strano peso sull’addome, come se avessimo digerito male qualcosa.

Oppure potremmo iniziare ad avere dei pensieri minacciosi che suonano più o meno così: “cosa penserà di me se non lo faccio? Potrebbe giudicarmi una cattiva persona! Rischierò di perdere il posto di lavoro e l’affetto dei miei cari!”.

Con il tempo, dire sempre di sì, diventerà per noi una lama dal doppio taglio.

Lo spazio per noi stessi e i nostri interessi si azzera, il tempo sembra non bastarci mai, il nostro umore peggiora e il nervosismo rischia di farci discutere proprio con le persone che pensavamo di voler aiutare.

E’ necessario imparare a dire di no.

Ma come imparare a dire di no?

Se ci troviamo di nuovo di fronte al bivio e vogliamo provare a fare qualcosa di diverso, possiamo iniziare a riflettere su questa semplice ma potente affermazione: “ogni volta che dico no agli altri, dico sì a me stesso”.

In questa nuova ottica, proviamo ad attribuire anche alla parola no un nuovo significato: non un rifiuto, ma una “nobile obiezione” (Mike Clayton, 2013).

Nobile sia per i modi educati con cui viene pronunciata, sia perché quando si decide di rispondere così, lo si fa con la piena consapevolezza delle proprie motivazioni e delle conseguenze su noi stessi e gli altri.

Infine, proviamo ad introdurre delle piccole violazioni alla nostra tendenza a dire sempre di sì.

Proviamo quindi, di fronte all’ennesima richiesta da parte del nostro capo, a rispondere diversamente: “mi rendo conto della tua necessità, ma oggi ho preso un altro impegno e proprio non ho la possibilità di trattenermi”.

Nel nostro programma di posta elettronica, impostiamo una risposta automatica per ricordare all’utenza gli orari di apertura dell’ufficio.

E al nostro bambino così angosciato dai suoi compiti, proviamo a dire che in questo momento siamo impegnati, ma che potrà iniziare intanto da solo.

Solitamente, di fronte alla nostra porta improvvisamente chiusa, gli altri modificheranno gradualmente il loro atteggiamento nei nostri confronti e diminuiranno le richieste.

Se vuoi scoprire altre strategie concrete e funzionali per imparare a dire di no, puoi sempre rivolgerti agli psicologi di www.onesession.it:  prendi appuntamento compilando il form (clicca qui) e consulta le nostre pagine social di Facebook e di Instagram.

Riferimenti bibliografici

Clayton, M. (2013). Si può dire NO: Sbattersi di meno per ottenere di più. Italia: De Agostini.

Marson, J. (2013). Come imparare a dire di no senza sensi di colpa. Italia: Newton Compton Editori.

 

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Fare Coming out con la propria famiglia

Cosa significa fare coming out?

Fare coming out significa venire fuori, uscire allo scoperto.

Ci piace tanto prendere in prestito i termini dalla lingua inglese o da altre lingue straniere.

Inglesismi, francesismi, si chiamano. Parole prese in prestito in buona sostanza.

Utilizzate perchè spiegano meglio una determinata cosa, un sentimento, un concetto politico, un pensiero, un’idea. Talvolta parole che ci permettono di esprimere anche concetti sgradevoli, attenuandone in un certo senso la carica emotiva e rendendoli più accettabili.

Penso ad esempio al termine lockdown, utilizzato per esprimere le misure di contenimento adottate dai Governi per affrontare la pandemia da covid-19. Breve e di grande impatto sia linguistico, che sociale ed emotivo. Ha significato concretamente però isolamento, ritiro, chiusura, confinamento.

Fare coming out viene utilizzato specificamente per esternare, comunicare il proprio orientamento, la propria identità sessuale a se stessi e agli altri. Un’espressione, diventata ormai di uso comune, che serve a descrivere quel percorso lungo, doloroso e complesso di riconoscimento, consapevolezza e accettazione di un desiderio o un pensiero prima e di un’identità reale poi.

Un percorso che coinvolge non solo la persona nella sua interezza ma l’intero sistema che ruota attorno all’individuo: dalla famiglia, al lavoro, alla scuola, agli amici, alla società.

Un percorso nel percorso che parte da se e arriva all’esterno attraverso la prepotenza della consapevolezza che diventa misura della coscienza. Lao Tzu, filosofo e scrittore cinese, diceva che “Chi conosce gli altri è sapiente; chi conosce se stesso è illuminato”.

Molti sono i fattori che influenzano o ostacolano il processo di coming out. Alcuni di tipo socioculturale altri di carattere soggettivo. L’educazione ricevuta, l’influenza della religione, il sistema di valori, il luogo in cui si vive (un piccolo paese, la provincia, una grande città, etc.), il livello culturale, le esperienze di vita.

Potremmo continuare all’infinito perché il “sistema individuo” è complesso nel suo definire se stesso e nel suo interagire nell’ambito delle relazioni e dei contesti di riferimento

La difficoltà di comunicare alla famiglia la propria omosessualità

Perché è difficile comunicare alla propria famiglia un orientamento diverso dalla nostra dotazione genetica sessuale?

L’orientamento sessuale non coincide con il genere.

L’identità di genere è la percezione di sé stessi come maschio o femmina o categorie diverse. L’orientamento è il modo di relazionarsi agli altri, di provare attrazione sentimentale o sessuale.

Fare coming out in famiglia è certamente un’esperienza che influenza dinamiche e relazioni in maniera profonda.

La paura di non essere accettati, compresi e di essere rifiutati possono generare emozioni negative che possono influenzare tempi e modalità di comunicazione e molto spesso anche le stesse scelte di vita.

C’è bisogno però, a questo punto, di fare una precisazione.

Il problema non è cosa ci succede ma come lo viviamo. Di conseguenza lo stesso evento viene sentito e vissuto in modo diverso da persone con storie ed esperienze differenti.

Le riflessioni di questo articolo vogliono “fotografare” la sola difficoltà della comunicazione.

Le reazioni alla comunicazione sono altra cosa, certamente differenti a seconda della prospettiva che abbiamo sulla realtà. Ciascuno di noi usa lenti, punti di vista e prospettive diversi per osservare la realtà e questo influenzerà le reazioni e le percezioni.

La paura è un sentimento che accompagna sia il mittente sia il destinatario di un messaggio così importante come quello della ammissione di una “diversità”, una “particolarità”.

La famiglia può trovarsi ad avere paura per via dell’emarginazione, della discriminazione, della violenza a cui potrebbe essere sottoposto il proprio caro in una società in cui ancora il pregiudizio e la denigrazione imperano.

La paura può trovare ragione nel tradimento dei modelli familiari e sociali diffusamente condivisi (matrimonio, genitorialità, etc.).

Questa emozione molto spesso porta all’evitamento, all’allontanamento dalle situazioni che creano disagio.

La necessità quindi di dare tempo per un nuovo adattamento rappresenta un elemento importante nel processo di accettazione.

Al terremoto seguono le scosse di assestamento per permettere alla terra di riadattarsi dopo la forte scossa principale. Lo stesso accade al sistema di cui l’individuo fa parte. Il processo di adattamento alla nuova realtà è graduale e fatto di piccoli passi.

Può la Terapia Breve accompagnare la persona e la famiglia nel processo di coming out?

L’aiuto di un professionista può certamente rappresentare una risorsa molto utile nel supporto del processo di coming out sia per l’individuo sia per il sistema che ruota attorno ad esso.

Processo, il cui iter non è uguale per tutte le persone e le storie.

Sono tante le aspettative che gli altri ripongono in noi e su di noi. Aspettative che talvolta divengono predizioni e quando non riusciamo a definire se ci appartengono davvero, possono diventare delle realtà che accettiamo ma non viviamo pienamente.

Un percorso di terapia offre la possibilità di esplorare tali aspettative e dare loro il giusto peso e la giusta collocazione. Venire a patti con ciò che siamo e farlo in un ambiente protetto come quello della terapia giova al nostro benessere sia fisico che mentale.

Prendere atto della propria identità ha costi alti e importanti: ansia, preoccupazione, paura, frustrazione. Un processo che se ben realizzato può rappresentare un’occasione di crescita e di coraggio e soprattutto una scelta di benessere.

La ricerca delle aspettative realistiche rappresenta un primo importante passo per la costruzione di un percorso di affermazione e di accettazione. Le aspettative realistiche consentono di superare una realtà nuova dinanzi alla quale si è impreparati e spaventati.

La Terapia Breve rappresenta in tal senso una risorsa ulteriore in quanto non si focalizza sull’origine del problema ma su ciò che lo alimenta e lo mantiene e dunque sul “cosa fare” per risolverlo. Questo approccio può rappresentare pertanto una risposta funzionale per l’individuo e il suo sistema, chiamati ad affrontare un momento di crisi che necessita di una soluzione per creare nuovi equilibri.

Se senti il bisogno di un aiuto professionale per questo momento delicato, contatta OneSession!

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram

Riferimenti bibliografici

Leonardi F., Tinacci F. (2021). Manuale di Psicoterapia strategica. Trento: Edizioni Centro Studi Erickson https://www.stateofmind.it/coming-out/#origine-del-termine-coming-out

https://www.istitutobeck.com/beck-news/coming-out-in-famiglia

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Il ghosting e i suoi effetti: conoscerlo per affrontarlo

Il Ghosting è la volontà di sparire improvvisamente dalla vita di una persona senza alcun tipo di spiegazione, rompendo ogni comunicazione, divenendo appunto un fantasma. Ghost, in inglese.

È un fenomeno relazionale presente da sempre, ma in forme meno frequenti ed evidenti rispetto ad oggi. Quando il Cellulare non esisteva, la persona con cui si usciva non si faceva più viva, non chiamava e non rispondeva al telefono, non apriva la porta di casa. Senza alcuna spiegazione.

Accadeva anche tra amici. Il ghosting infatti può riguardare ogni tipo di relazione: lavorativa, amicale e sentimentale, anche se solitamente è più frequente in quest’ultima. E contrariamente a quanto si pensi, non ha genere sessuale, seppur gli uomini siano i maggiori fruitori di Ghosting.

Oggi iperconnessione e speed date, soprattutto virtuali, hanno generato una maggiore incapacità di sostenere la vicinanza emotiva in molte persone, cosicché il Ghosting è diventato di tendenza. Si evitano sentimenti forti sia in senso positivo che negativo. Si scappa da paura e rabbia o da “troppa felicità”. Non si vogliono affrontare problemi o impegni di sorta.

Quanto è diffuso il ghosting?

Un’intervista del Plenty of Fish su 800 Millenials tra i 18 e 33 anni, svolta nel 2016, ha evidenziato che il Ghosting miete molte vittime in questa fascia di età. L’80% degli intervistati ha risposto di essere stato Ghostato e il 73% vuole una storia seria senza perder tempo. Potremmo dire che alcuni Ghoster sono solo persone che in modo rapido, senza impegno e spiegazioni, perché “si dovrebbe capire”, passano a un altro appuntamento.

Altri sondaggi con soggetti più giovani hanno ottenuto simili risultati. Ghostizzarsi è più facile, con amici e partner, abituati a eliminare con un click un contatto. Il ghost incallito è desensibilizzato verso gli altri.

Eppure basterebbe avere una comunicazione assertiva, onesta e rispettare l’altro come persona.

Perché si finisce per fare ghosting?

Diversi sono i motivi per cui si sceglie di sparire senza motivarsi, in ogni caso alla base c’è un profondo desiderio di evitamento e distanziamento, per:

  • – l’incapacità di gestire le emozioni proprie e dell’altro, nell’affrontare una rottura o una discussione
  • – non essere in grado di comunicare assertivamente una spiegazione di perdita di interesse
  • – alimentare il puro egoismo e assenza di empatia, in cui l’altro è solo qualcosa che mi serve oppure no
  • – evitare lo stress e l’impegno di dare e trovare una spiegazione
  • – deresponsabilizzazione e insicurezza
  • – derealizzazione, perché si ritiene non reale la relazione vissuta, se nata sul web
  • – non vivere più una storia violenta. Questo è l’unico caso in cui chi scappa, può permettersi di farlo senza dover dare spiegazioni.

Alcuni Ghost ritornano, improvvisamente. Sono amanti delle sorprese, potremmo dire che da Ghost diventano Zombie. Lo Zombieng è un ghosting rivisitato, prevede il rientro anch’esso improvviso, dopo un periodo di abbandono totale per poi risparire. Il risultato in chi subisce questa altalena di apparizioni e sparizioni inaspettate, sono una reiterazione di traumi destabilizzanti. Non si sa mai cosa accadrà domani.

Quali conseguenze lascia tutto ciò?

Il Ghosting, così come lo Zombieng, è una tipologia di subdola violenza che lascia la vittima in balìa di sé stessa, rifiutata e abbandonata. Emergono

  • esperienze emotive passate,
  • colpevolizzazioni,
  • ricerca spesso ossessiva, ma fallimentare, di verità e chiarimenti di un ipotetico errore e problema per la maggior parte delle volte sconosciuti, con la speranza di riprendersi.

Ma non trova soluzioni né risposte. E allora la persona si comincia a sentire

  • sbagliata e profondamente sola,
  • ingannata e rifiutata,
  • non meritevole di stima, fiducia e rispetto,
  • impotente,
  • incapace di capire gli altri,
  • impossibilitata a potersi fidare di nuovo… di altre persone,
  • invisibile, che non esiste e non ha valore.

La persona infatti viene “spettrata”. Se non è umano è più facile non provare sentimenti e non parlarne nemmeno con un sms, come accade spesso tra chi è uscito massimo un paio di volte. Un po’ come quando ci si lasciava per lettera.

Non è piacevole e non possiamo dire sia il modo migliore, ma di certo può esserlo rispetto al dileguarsi. C’è anche da dire che meno tempo si è stati assieme (che siano un paio di uscite o un brevissimo tempo online), minore è la sofferenza di un sms di chiusura o di ghosting.

In ogni caso la rottura di un rapporto, soprattutto se lo si subisce, porta con sé disagio, e più è duraturo più provoca sofferenza e stress. Spesso la fine è anche traumatica, con liti e rivendicazioni. E si vive una perdita importante, a cui dover dare un significato personale e relazionale.

Ma con il ghosting, la perdita equivale a un vero e proprio lutto improvviso, senza possibilità di saluto finale. L’iniziale smarrimento incredulo e la frustrazione di non senso, di impotenza, le emozioni di tristezza, rabbia, senso di colpa innescate e i relativi effetti già citati, è possibile che nella persona ghostata si trasformino in vere e proprie sintomatologie da Trauma e Post- Trauma di tipo psico-fisiologico. Per citarne alcune:

  • Malessere generale
  • Emicranie ed insonnia
  • Inappetenza e irrequietezza
  • Minor produzione di endorfine e conseguente maggior dolore
  • Ansia
  • Depressione

Cosa fare per uscire dal corto circuito del Ghosting?

“Il tempo farà” dicevano i nostri nonni. Ma sappiamo che se il tempo non è usato al meglio non si avrà il risultato sperato. Continuare ad arrovellarsi con autocritica per cercare un senso, ma “un senso non ce l’ha”, diceva Vasco, fa rimanere nell’incertezza, alimentare gli effetti psicoemotivi e fisici, e dà potere al fantasma sulla propria persona.

Cosa puoi fare allora?

  1. Fai attività che aumentino pensieri piacevoli, che ti ricordino il tuo valore come persona. Chi sei, le qualità che hai, le passioni… Utilizza il tuo tempo alla riscoperta di te.
  2. Svolgi attività fisica per svuotare la mente, gestire i pensieri, distrarti e scaricare lo stress.
  3. Ricerca attività di rilassamento fisico e mentale, che ti permettano di essere a contatto con la natura e con te.
  4. Decidi di prenderti cura di te, senza pensare a ciò che hai perso ma a quanto hai guadagnato.
  5. Quando scegli di iniziare una relazione affettiva online, frequenta l’altro in presenza per permetterti di conoscerlo realmente.
  6. Incontra amici e persone reali che ti conoscano bene, per sperimentare ancora che una realtà vera esiste, che c’è chi ti ama e si arricchisce della tua presenza. La reciprocità e il rispetto sono alla base di ogni relazione.

A volte la complessità con cui epiloga un ghosting, richiede un supporto professionale. Se sei vittima di ghosting, zombieng, orbiting o deep fake non temere di chiedere aiuto.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram

 

Riferimenti Bibliografici

Freedman, G., et al. (2018). Ghosting and destiny: Implicit theories of relationships predict beliefs about ghosting. Journal Of Social And Personal Relationships, 36(3), 905-924.

Manning, J., et al. (2021). Justifications for “Ghosting Out” of Developing or Ongoing Romantic Relationships: Anxieties Regarding Digitally-Mediated Romantic Interaction. In A. Hetsroni & M. Tuncez, It Happened on Tinder: Reflections and Studies on Internet-Infused Dating. Institute of Network Cultures. Retrieved 18 January 2021, from.

Moore, P. (2014, October 28). Poll Results: Ghosting. Retrieved from https://today.yougov.com/topics/lifestyle/articles-reports/2014/10/28/poll-results-ghosting

Morris, C. E., et al. (2011). Frequency, intensity and expression of post-relationship grief. EvoS Journal: The Journal of the Evolutionary Studies Consortium, 3, 1–11.

Sprecher, S., et al. (2010). Choosing Compassionate Strategies to End a Relationship. Social Psychology, 41(2), 66-75.

 

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Come superare la fine di una relazione in età adulta

Come superare la fine di una relazione in età adulta, quando tutti i tuoi sogni e i tuoi progetti sono ridotti in frantumi e quando viene percepita come un fallimento personale?

È davvero possibile trasformare una fine in un percorso di rinascita e crescita personale?

La fine di una relazione

In un’interessante studio del professor Edward Smith della Columbia University (Kross et al., 2011) viene evidenziato come il dolore per la fine di una relazione stimoli le stesse aree cerebrali deputate alla percezione del dolore fisico.

Viene quindi da sé che tale evento può generare un’intensa sofferenza psico-fisica.

Non si sa la ragione di una tale associazione, ma si è ipotizzato che sia da ricondursi al naturale e istintivo bisogno di socializzazione dell’essere umano.

Il risultato è che la fine di una relazione, sia voluta che subita, porta spesso con sé un vissuto di dolore e rabbia, capace di intrappolarci in labirinti senza uscita.

Di fronte ad un dolore così grande è difficile riuscire e vedere cosa poter fare per trasformare una fine in opportunità.

Anzi, il nostro stesso futuro diventa un’idea vaga e lontana, e il solo pensare di riuscire a superare questo momento sembra un’offesa al dolore profondo che si sta provando.

Pensare di ricostruirsi una vita diventa, quindi, semplicemente impensabile.

Cosa cambia con l’età adulta

Con l’età adulta la reazione a queste esperienze si complica ulteriormente.

Da un lato perché la rabbia e il dolore sfociano spesso in un vissuto molto intenso di fallimento personale. Dall’altro perché la paura per il futuro e per la possibilità di costruirsi una famiglia sono più forti ed emotivamente più coinvolgenti.

Vivere la rottura come un fallimento personale ci da la sensazione di aver sprecato il proprio tempo, di aver sbagliato a valutare qualcosa e ci porta alla convinzione definitiva che ricostruirsi una vita sia impossibile.

Queste recriminazioni possono diventare delle vere e proprie accuse verso noi stessi e possono minare in maniera profonda la nostra autostima.

Da qui il forte senso di solitudine che ci fa vivere la mancanza del partner con un senso di profondo abbandono.

Anche le paure per il futuro giocano un ruolo fondamentale.

Con l’età adulta, infatti, il cosiddetto “orologio biologico” e le aspettative riguardo la nostra vita relazionale influenzano in maniera diretta la percezione delle nostre esperienze.

Una rottura può farci sprofondare nell’idea di dover ricominciare da capo e di non aver più tempo per ricostruirsi una vita!

Com’è possibile allora non rimanere travolti dalla fine della nostra relazione?

Come ricostruirsi una vita, anche in età adulta

Ricostruirsi una vita dopo una rottura, specie se in età adulta, sembra davvero difficile.

I sentimenti che proviamo e che generano confusione sono forti e connaturati ad un esperienza dal forte impatto emotivo

E allora cosa possiamo fare?

Il primo passo da compiere e ristrutturare la percezione di ciò che stiamo vivendo.

Invece di chiuderci nel labirinto del fallimento personale, dobbiamo muoverci sul piano della crescita personale.

Non siamo persone che hanno perso tempo e che devono ricominciare da zero.

Sei una persona che ha una storia ed un vissuto e devi “ri-scoprire” la tua vita oggi e rimodellarla sulla base di ciò che sei ora.

Cosa ti dice questa esperienza di te? Che cosa hai imparato dopo questo ostacolo? Di Quale insegnamento positivo o negativo puoi fare tesoro?

Tre azioni pratiche da poter implementare nella tua nuova vita da single.

  • Dai sfogo alle emozioni

Reprimere le emozioni non è mai una buona strategia. È molto più efficace trovare il tuo modo per far uscire ciò che hai dentro.

Puoi scrivere, senza rileggerle, le emozioni che stai provando, per distanziarti dai pensieri e arrivare alla consapevolezza che essi sono, appunto, pensieri.

Oppure piangi, lasciando che il corpo faccia uscire anche fisicamente il dolore che stai provando.

Semplicemente, puoi ritagliarti un’ora al giorno nel quale ripensare al dolore che provi. Alla fine di quell’ora, ti lavi la faccia con acqua fresca, ti asciughi il viso e torni alle tue attività.

Non importa la strategia che utilizzi, ciò che conta è far fluire l’emozione negativa che hai dentro.

 

  • Ridi in compagnia

Ridere genera una droga naturale, l’endorfina, mentre intrattenere rapporti sociali riduce lo stress dato dal carico emotivo della rottura.

Dopo gli “enta” o dopo una lunga storia, la rete sociale si riduce e spesso la pigrizia porta ad avere meno voglia di uscire.

Superare questo senso di isolamento e conoscere nuove persone ti aiuterà a ritrovare una tua dimensione e a sviluppare entusiasmo nella possibilità di sperimentarti in nuove relazioni.

Ricorda che non devi fare “tutto e subito”. Mettiti in gioco con dei piccoli passi.

Prima in situazioni più confortevoli e poi aumentando gradualmente la tua esposizione.

In questo modo riuscirai a gestire meglio lo stress e le emozioni che proverai.

 

  • Prenditi cura di te.

È prevedibile che tutto questo dolore, il tentativo di affrontarlo e le azioni di crescita personale generino in te forte ansia e stress. Per questo non devi dimenticarti di sviluppare un atteggiamento non giudicante nei tuoi confronti e accettare l’idea di chiedere aiuto, se ne senti il bisogno.

Le persone che amiamo possono darti un aiuto fondamentale, in questo senso, così some il sostegno di uno specialista può indirizzarti verso la strada giusta.

L’obiettivo finale sarà quello di ricostruire ciò che sei e riprendere in mano la tua vita.

Conclusioni

Ricostruirsi una vita dopo una rottura non è mai facile. Quando questo avviene in età adulta, il coinvolgimento emotivo, le energie spese ed i progetti futuri mettono un ulteriore pressione e rendono tutto il processo più complesso.

Se ti trovi in questa situazione, chiedi aiuto a One Session!

One Session è il nostro servizio di ascolto psicologico attivo il martedì dalle 18.00 alle 20.00,

Ti aiuteremo fornendoti strumenti e tecniche che ti permetteranno di rimetterti in gioco e sbloccare comportamenti non funzionali al tuo benessere. Scrivi a info@onesession.it e consulta le nostre pagine social di Facebook e di Instagram.

Bibliografia

Dunbar, R.I.M. et al. (2012). Social laughter is correlated with an elevated pain threshold. Proceedings of The Royal Society B: Biological Sciences, 279(1731), 1161-7.

Frattaroli, J. (2006). Experimental Disclosure and Its Moderators: A Meta-Analysis. In Psychological Bulletin, Vol. 132, n° 6, pp. 823–865.

Pennebaker, J.W. (2004). Scrivi cosa dice il cuore. Milano: Erickson

Stathopoulou, G. et al (2006). Exercise Interventions for Mental Health: A Quantitative and Qualitative Review. In Clinical Psychology: Science and Pratice, Volume 13, Issue 2, 179–193.

 

Sitografia https://www.lostudiodellopsicologo.it/psicologia/uscire-storia-finita-male/ https://www.lostudiodellopsicologo.it/psicologia/superare-fine-storia/ https://www.starbene.it/benessere/psicologia/quando-finisce-amore-come-stare-meglio/ https://www.crescita-personale.it/articoli/relazioni/amore/fallimento-in-amore-superare-la-fine-di-una-relazione.html https://www.ipsico.it/news/fine-di-un-amore-termine-di-una-relazione/

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Timidezza o introversione: qual è la differenza?

Timidezza ed introversione sono due termini che, nel parlare comune, sono spesso usati come sinonimi.

Questo accade perché, pur rappresentando due tendenze nettamente diverse, sono simili nei comportamenti espressi.

L’introversione si traduce spesso nel preferire la calma e le situazioni con pochi stimoli ambientali. La timidezza, invece, riguarda la paura del giudizio altrui e si manifesta come tendenza al parlare poco ed al preferire situazioni più intime e raccolte.

Qual è allora la differenza?

Introversione

Il termine introversione venne teorizzato, per la prima volta, da Jung negli anni ’20, in opposizione al termine estroversione, per identificare due tratti di personalità.

Semplificando molto, si può dire che gli estroversi sono solitamente socievoli e assertivi, mentre gli introversi più riservati e riflessivi.

Una delle funzioni peculiari di questa dicotomia è che, capire se sei estroverso o introverso, ti permette di capire anche come ti ricarichi, ossia come recuperi forza ed energia.

Infatti i tratti di personalità sono legati al benessere mentale ed influenzano il modo in cui facciamo fronte agli eventi stressanti.

Banalmente, un introverso ha bisogno dei suoi spazi e di ritagliarsi, appunto, dei momenti dedicati a sé.

Mentre un estroverso, invece, ha bisogno dell’aspetto sociale, quindi di passare del tempo con gli altri e fare esperienze di gruppo.

Contestualizzando questi dati con la situazione pandemica, è facile immaginare come persone estroverse abbiano avuto più difficoltà nell’adattarsi alle misure di distanziamento sociale. I caratteri introversi, al contrario, possono averne tratto maggior beneficio.

Questi dati sono confermati anche da una ricerca sull’impatto delle restrizioni, svolta su un gruppo di studenti dell’Università del Vermont a Burlington, negli Stati Uniti e pubblicata sulla rivista scientifica Plos One.

I tratti di personalità, introversione ed estroversione, hanno mostrato ripercussioni nettamente diverse sull’umore e sullo stress percepito dai soggetti.

Timidezza

La timidezza è una condizione in cui abbiamo paura del giudizio e dell’esposizione all’altro.

È qualcosa di circoscritto alla sola presenza delle altre persone e può diventare invalidante se non ci permette di comunicare efficacemente o di mettere in pratica quei comportamenti che, altrimenti, potremmo agire tranquillamente.

Spesso la timidezza si associa ad un forte senso di inadeguatezza sociale, ma non per questo va confusa con una bassa autostima, che riguarda l’opinione che si ha di sé stessi.

La letteratura a riguardo è concorde nell’affermare che la nostra timidezza nasce e si sviluppa in base alle esperienze che viviamo, anche se i fattori biologici e genetici possono rappresentare importanti fattori di rischio.

La timidezza è quindi una credenza, appresa e mantenuta dalle credenze che la persona ha riguardo sé stessa e gli altri.

Cosa significa tutto questo e come può aiutarti?

I tratti di personalità, come l’introversione, sono tendenzialmente più stabili nel tempo e, inoltre, essere un introverso non vuol dire aver paura degli altri, né provare qualche sorta di disagio.

Al contrario, la timidezza è qualcosa di connaturato ad eventi specifici e si associa ad un malessere importante, spesso anche invalidante.

Per questo è importante sapere che puoi imparare a non subire la tua timidezza, ovvero a non farti invalidare da pensieri limitanti e catastrofici.

Il primo passo è interrompere quelle che sono le principali tentate soluzioni disfunzionali del timido, ossia l’evitamento e il chiedere aiuto.

Sono soluzioni disfunzionali perché, anche se evitare la situazione che ti mette a disagio in un primo momento ti tranquillizza, poi ti conferma una tua credenza errata: ciò che vuoi fare è troppo difficile per te.

Chiedere aiuto, allo stesso modo, ti fa sentire al sicuro, ma ti lega anche all’aiuto ricevuto, dimostrandoti, una volta di più, che non puoi farcela da solo. Il paradosso dei paradossi: ciò che ti aiuta ti rende più debole.

Bloccare queste Tentate Soluzioni Disfunzionali è il primo passo per accettare la propria timidezza ed imparare a gestirla, senza esserne sopraffatti.

Tre stretegie per superare la timidezza

Per aiutarti a gestire la tua timidezza ti proponiamo tre strategie molto semplici da mettere in pratica nella tuo quotidianità.

La prima strategia riguarda l’accettazione: accettare la tua timidezza come qualcosa che fa parte di te.

Soprattutto perché continuare a negare, ignorandola, rischia di far montare una tensione interna che non puoi reprimere e che ti travolgerà.

La seconda strategia è quella di verbalizzare ciò che provi.

Come abbiamo detto, nascondere l’emozione rischia di farla aumentare sempre più.

Esprimere ciò che provi in quel momento, dicendo “sono molto emozionato” o “sono preoccupato”, farà uscire immediatamente questa tensione e ti permetterà di calmare istantaneamente il tuo stato d’ansia.

La terza strategia è quella di imparare a vivere la tua timidezza.

Un metodo molto valido è quello di esporti, ogni giorno, in maniera progressiva e controllata, ad una piccolissima situazione che ti genera imbarazzo e disagio.

E’ fondamentale che sia tu a sceglierla e che sia davvero piccola, così che tu possa mantenere il controllo della situazione, pur trovandoti a disagio.

Conclusioni

Timidezza ed introversione rappresentano due aspetti ben distinti, ma hanno una caratteristica comune: essere introverso o essere timido non è MAI sbagliato!

Dato che i tratti di personalità sono tendenzialmente stabili nel tempo, si può cercare di agire sulla tua timidezza, ma solo se questa ti fa stare male e ti fa soffrire.

Se la tua timidezza non ti crea problemi o se il tuo essere riservato ti piace, non c’è alcun motivo per cui tu non possa goderti il tuo spazio ed i tuoi momenti di serenità personale.

Se hai bisogno di un aiuto concreto, i terapeuti del One Session Center sono a tua disposizione per una Consulenza Psicologica a Seduta Singola totalmente Gratuita, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram.

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Come migliorare le relazioni sociali

L’importanza delle relazioni sociali

In psicologia il bisogno è la percezione della mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della propria persona.

Può la relazione con gli altri essere considerato un bisogno imprescindibile?

Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di “Hierarchy of Needs” (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954.

Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell’individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L’individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo.

Questa scala è internazionalmente conosciuta come “piramide di Maslow”.

Partendo da questi presupposti riflettiamo sul pensiero di Aristotele.

Il filosofo greco (IV secolo A.C.) sostenne che l’uomo è un animale sociale poiché tende a formare e stare con gruppi di individui.

Dunque se il bisogno è esclusività per l’uomo e quindi anche la sua socialità, possiamo considerare questa come un bisogno primario dell’uomo che per necessità differenti la utilizza per il suo benessere psicologico.

Strategie per migliorare le relazioni sociali

E’ possibile allenare le relazioni sociali?

Ogni comportamento può essere migliorato attraverso la messa in atto di strategie che possono favorire il legame con l’altro.

Siamo immersi in ambienti differenti e ci comportiamo con le persone in modo diverso a seconda del ruolo, gerarchia, legame che instauriamo con gli altri.

Molte variabili intercorrono per promuovere la nostra socialità, dagli aspetti culturali, l’educazione, dalle nostre emozioni e temperamento.

Ognuno di noi porta con sé delle risorse, dobbiamo scoprirle ed utilizzarle al meglio.

Il nostro atteggiamento deve essere curioso ed aperto all’altro.

Ascoltiamo in modo attento ed interessiamoci all’altro modulando in modo corretto le interazioni comunicative.

Essere gentili ed accoglienti aiuta a creare un buon clima di fiducia.

Più il linguaggio è diretto e privo di contraddizioni meglio verranno recepiti i messaggi che si vogliono trasmettere.

Essere empatici aiuta a comprendere i bisogni dell’altro ed accettare le critiche costruttive può migliorare la nostra percezione e dunque il porsi in relazione all’altro.

Uscire dal proprio egocentrismo e prevedere più punti di vista aiuta ad essere flessibili e dunque a saperci adattare con persone diverse che hanno pensieri differenti.

“L’altro” può essere una risorsa e un arricchimento per noi stessi e per noi in relazione a lui. Il confronto è strumento principe per entrare in contatto e scambiare idee, opinioni e riflessioni.

Benefici di buone relazioni

Avere una buona rete di relazioni sociali permette di poter esplorare altri stili di vita e questa conoscenza arricchisce i nostri comportamenti.

Creare situazioni nuove di apprendimento sociale aiuta ad ampliare le nostre vedute e ci consente di rimodularci ogni volta con l’altro trovando equilibri diversi.

Esplorare ambienti, ci permette di fare esperienze nuove che ci possono immettere in un nuovo processo di conoscenza di noi stessi.

L’altro e la relazione con lui può aiutarci a conoscere meglio noi stessi, riconoscere le nostre mancanze e colmarle grazie alle scoperte che le relazioni sociali ci offrono.

Essere liberi da ogni forma di pregiudizio o credenza sia su noi stessi che sugli altri aiuta a essere più sereni ad aperti nella relazione e nella ricerca di relazioni.

Essere predisposti al cambiamento è la formula vincente per apprendere dalle relazioni, mettersi in movimento è il primo passo.

Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it

Riferimenti bibliografici

http://www.societapartecipativa.it/blog/ (consultato in data 23/06/2021) http://dentrolatanadelconiglio.com/relazioni-interpersonali.html (consultato in data 24/06/2021 https://www.psicologiadellavoro.org/(consultato in data 28/07/2021)

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