
Come migliorare il rapporto con il tuo capo
Perché è importante avere relazioni serene nell’ambiente di lavoro?
Riuscire ad instaurare un rapporto soddisfacente con il proprio capo, e con i colleghi, è il desiderio di tantissime persone. Sul luogo di lavoro, infatti, è indispensabile poter contare su un ambiente tranquillo in cui poter lavorare con serenità. E’ ormai da diversi anni noto che, quando le persone si sentono tranquille e senza troppe pressioni addosso, il rendimento lavorativo e la soddisfazione personale aumentano!
Viceversa, un rapporto altalenante o scadente con il proprio superiore, può spesso essere collegato ad una soddisfazione minore verso il proprio lavoro, che può andare a ripercuotersi negativamente anche su altri ambiti di vita.
Qualche dritta per migliorare la situazione
Ottenere una relazione distesa con il capo può non essere un processo immediato, ma ecco qualche suggerimento per riuscire al meglio nella costruzione di rapporto nuovo e più sereno:
1. Sii proattivo
Se pensi di avere la soluzione per un problema, esponila! I suggerimenti, se dati con educazione e rispetto, faranno capire al tuo capo quanto tu sia dedito al lavoro e competente.
2. Presta attenzione alle scadenze
Anche se può essere difficile, soprattutto quando si è sommersi di lavoro, è molto importante rispettare le scadenze, perché sarà una prova formidabile della tua affidabilità.
3. Chiedi feedback
Quando te ne capita l’occasione, chiedere al capo dei feedback sul lavoro svolto ti farà apparire come una persona desiderosa di migliorarsi e fare bene il proprio lavoro. Non avere paura di eventuali riscontri negativi, se dovessero esserci saranno uno spunto per migliorare le tue prestazioni!
4. Ricorda che, oltre ad essere il tuo superiore, è una persona
Come tutti, anche il tuo capo avrà una vita fuori dall’ambiente lavorativo. Cercare di conoscerlo, mostrandoti autentico e rispettoso, potrebbe migliorare notevolmente il vostro rapporto!
Presta attenzione alla comunicazione
Un ultimo suggerimento per rendere il rapporto con il capo più sereno è quello di prestare molta attenzione alla comunicazione.
Il nostro modo di comunicare con gli altri è davvero importante, perché può influenzare direttamente la relazione con la persona che abbiamo davanti.
Quando si tratta di un superiore, è fondamentale adattarsi al suo stile comunicativo e al suo registro linguistico.
Cerca di mantenere questo stile anche nella comunicazione via e-mail, soprattutto se usate spesso questo strumento.
Inoltre, se possibile, cerca di prediligere gli scambi dal vivo a quelli telefonici o via e-mail, perché questi danno una possibilità maggiore di comprendersi e approfondire l’argomento di conversazione.
Riuscire a costruire un rapporto sereno con il proprio capo è possibile, anche se può richiedere qualche sforzo.
Tuttavia, l’impegno iniziale sarà ricompensato da un ambiente lavorativo più disteso, nel quale fare emergere le proprie competenze professionali.
E se credi di avere bisogno di un po’ di aiuto, la soluzione potrebbe essere chiedere aiuto ad un professionista, che ti aiuterà con un incontro di Terapia a Seduta Singola a trovare le risorse e comprendere come usarle per affrontare il problema.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
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Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).

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5 consigli per superare le feste in leggerezza
Di seguito alcuni semplici consigli:
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.

Lui, lei e gli altri: come smettere di fare l’amante?
Il poeta e attore francese Jean Cocteau ci ha lasciato un bellissimo pensiero sull’amore:
“Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo e il suo futuro non è che un condizionale”.
L’amore può essere coniugato in tanti modi differenti, ognuno dei quali ha le sue ragioni.
Ci sono coppie che condividono un progetto di vita insieme da diverso tempo, che gestiscono una vita coniugale ed una vita di coppia segreta, persone che si innamorano e intrattengono una relazione con un uomo o una donna non liberi, persone che soffrono per un tradimento subito.
Insomma un panorama vastissimo che ha come unico protagonista l’amore col suo tempo scandito da gioia e dolore, passione e gelosia, solitudine e condivisione.
Ma cosa accade a chi abbandona la ragione e il senso di morale comune e dà ascolto solo alla passione travolgente e al puro sentimento?
Non sta a noi di certo giudicare la scelta di vivere una vita in cui si è terzo rispetto ad una coppia e ad un progetto di vita altrui ma possiamo provare a pensare a come possa essere possibile e realizzabile l’interruzione di un meccanismo di ripetizione che vede una persona ricadere sempre in una relazione ambigua e in cui manca la concretezza dello stare insieme totalmente.
La storia di Barbara
Barbara ha 37 anni e da quando ne aveva 25 ha iniziato a collezionare una serie di storie “clandestine” con uomini impegnati e più grandi di lei.
È passata da una storia all’altra, in un crescendo di complicazioni e problemi da cui pare non riuscire a staccarsi.
Ha avuto solo due storie con persone coetanee e libere; la prima è stata la fugace avventura di una notte, la seconda un rapporto più duraturo: “un anno di noia” a suo dire.
Il lavoro con Barbara è appena cominciato e sta dando spunto a queste riflessioni.
Ma proviamo a capire cosa accade a chi sceglie di vivere, tra segreti e compromessi, nella veste dell’amante.
Un vero amore, che come tutti i grandi amori della letteratura, del cinema, dell’arte, della mitologia classica è ostacolato e quindi bisogna lottare e soffrire per tenerlo in vita. Una storia che diventa privilegio dunque, in quanto unica e speciale ma che vede il partner che vive nell’ombra reso fragile dall’attesa e dall’accettazione dei tempi e modi dell’altro. In pratica i classici amanti delle storie più belle e romantiche.
C’è poi chi ama vivere nell’ombra perché ne guadagna in termini di eccitazione e adrenalina che fanno da leitmotive ad un tempo sospeso tra ragione ed emozione. Ecco che la storia può diventare un rapporto duraturo nel tempo oppure un passare da una storia all’altra, alimentato dal desiderio, dalla speranza di rivivere le sensazioni che eccitano corpo e mente.
Paura dunque di investire in una storia importante? Un costume, un modo di essere o fare? Una consapevole rinuncia? Una fame di affetto e attenzioni? Un triste destino?
Chi è l’amante?
Una persona che sceglie di vivere nell’ombra accontentandosi di briciole di un amore che sembrano saziare una fame di attenzione e cura, perché crede di non poter ambire ad altro.
Un inconsapevole “terapeuta” della coppia in crisi, che con la sua presenza dà alla coppia, paradossalmente, nutrimento e nuova linfa in quanto fa da contenitore e riequilibratore.
Una persona che con leggerezza sceglie di vivere consapevolmente o inconsapevolmente una meravigliosa esperienza, a termine ma ricca di felicità e brio. Un modo quasi di tenersi lontano dal tempo che avanza e dal comune percorso del ciclo di vita.
Una realtà costante e parallela alla coppia ufficiale con la quale l’elemento tradito dovrà paradossalmente imparare a convivere per il bene della coppia stessa e il suo equilibrio.
Torniamo a Barbara…
Il suo racconto lascia intravedere una persona che preferisce vivere nell’ombra e accontentarsi pur di non dare voce ai suoi desideri e alle sue paure.
E’ stata ad oggi fatta una sola seduta che è iniziata con un lavoro di valorizzazione delle sue risorse e competenze in quanto appare forte in lei un senso di scarsa autostima che la porta a svalutare se stessa.
La terapia a seduta singola è venuta in soccorso a questo primo intervento in quanto, col suo approccio costruttivo minimalista, parte dal presupposto che la responsabilizzazione e l’incoraggiamento sono capaci di produrre nella persona un piccolo cambiamento positivo che può poi portare a cambiamenti più grandi.
Barbara mi consegna poi un’immagine molto bella che mi permette di avere in mano una chiave di lettura del suo vissuto. Insegna arte in un liceo. Pertanto utilizza un dipinto per descrivere la storia che attualmente sta vivendo e che l’ha portata qui perché ha riempito e fatto strabordare quel vaso già mezzo pieno di acqua.
Mi mostra lo screensaver del suo cellulare che ha come immagine “Il bacio” di Gustav Klimt, un dipinto sospeso nel tempo che ricordo di aver visto molti anni fa a Vienna. Una coppia stretta in un abbraccio molto appassionato in cui si vede l’uomo chinarsi sulla donna che riceve il suo bacio.
Per Barbara quel dipinto rappresenta il trionfo dell’eros e il suo grande potere di dare armonia ai conflitti tra uomo e donna; quel bisogno d’amore che la porta a mettere da parte gli aspetti negativi e a tenersi stretto un qualcosa a cui la sua insicurezza attribuisce un grande valore.
La storia di Barbara ha come obiettivo quello di interrompere un circuito di incertezza per puntare a nuove consapevolezze e nuovi obiettivi.
Barbara ha scelto di non procastinare più il suo cambiamento, di essere scelta e non alternativa.
Barbara ha scelto di coniugare il suo tempo al futuro.
Bibliografia
P.Watzlawick & G.Nardone – Terapia breve strategica
M.Recalcati – Mantieni il bacio

Scusate il ritardo!
“A verità è che a te non ti smuovono nemmeno i miracoli!”
Questa la frase che la madre di Vincenzo il protagonista del film di Massimo Troisi “Scusate il ritardo” dice al figlio e forse questa è la frase che chi ritarda potrebbe sentirsi dire da chi aspetta 10 minuti, mezz’ora o addirittura anche un’ora o più.
È capitato a tutti noi un amico/a, un fidanzato/a o un membro della famiglia che è sempre in ritardo. O magari i ritardatari siamo proprio noi!
Il ritardo potrebbe diventare un tratto caratteristico della personalità. Questo potrebbe aumentare le probabilità di perdere parecchie opportunità come offerte di lavoro, attività divertenti, amicizie e molto altro.
Marylin Monroe ha detto una volta in una sua intervista: “Agli appuntamenti sono immancabilmente in ritardo, a volte anche di due ore. Ho provato a cambiare questi miei modi, ma i motivi che mi fanno ritardare sono troppo forti e troppo piacevoli”.
Quali sono i motivi, le situazioni che fanno andare in black out il tempo del ritardatario?
Non lasciarsi travolgere dall’ansia di far presto, di arrivare ad un appuntamento importante in tempo, non farsi prendere dallo stress di raggiungere quella situazione o quella persona ad un orario preciso e stabilito…insomma vivere in modo easy e slow il proprio tempo magari decidendo addirittura di non indossare l’orologio.
Una gran bella strategia…ma gli altri? Quelli che aspettano? Come si sentono? Cosa provano dinanzi ad una mancanza di rispetto e attenzione così evidente?
La pigrizia poi, un altro freno al tempo del ritardatario. Alzarsi dal letto al mattino all’ultimo minuto, arrivare in aereoporto o in stazione poco prima che chiuda il ceck-in o che il treno parta solo perché la forza di volontà non riesce a dominare il piacere di restare a poltrire. Una pigrizia rischiosa, adrenalinica fatta di corse, fiatone ed eccitazione.
Cosa dire poi degli eterni ottimisti; quelli che: “mica trovo traffico!”, “sicuramente mi aspetteranno…”, “certo che non chiudono in orario!”, “ma cosa potrebbe mai capitarmi?”.
Gli eterni ottimisti non considerano per nulla la possibilità di un imprevisto. Seguono il proprio e altrui tempo in maniera molto serena.
L’indecisione è un altro grande ostacolo…questa situazione ci riporta immediatamente agli occhi la scena di una donna in sottoveste o in biancheria intima dinanzi all’armadio aperto e stracolmo di abiti che disperata dice: “non so cosa mettermi!” e poi c’è chi non sa se andare in macchina o in moto, chi torna indietro perché non ricorda se ha chiuso la porta o se ha preso le chiavi.
Il ritardatario sembra quasi un ribelle del tempo, un eterno ottimista che sposa uno stile di vita tranquillo e rilassato ma allo stesso tempo fatto di accelerazioni e sensi di colpa.
Uno di stile di vita molto spesso accompagnato dalla speranza o dalla promessa di non rifarlo la volta successiva. Promessa e speranza che nella maggior parte dei casi vengono tradite da situazioni esterne, stranamente sempre indipendenti dalla propria volontà.
Esistono delle strategie per “fregare” questo tempo post datato?
Sarebbe innanzitutto opportuno osservare se il ritardo è dovuto a comportamenti specifici (distrazione, pigrizia, paura di andare sotto pressione…etc.) o se magari si fa tardi sempre e solo in una circostanza ben definita o per andare in un certo luogo.
Osservare il ripetersi di un certo atteggiamento può essere utile e può aiutare a individuare le eccezioni, orientandosi così alle risorse e ai punti di forza.
Siamo sicuri che arrivare puntuali ci farebbe star meglio? Che valore e senso diamo al nostro ritardo? Cosa ci guadagniamo a far tardi? Arrivare in orario ci fa sentire in ansia o sperduti? È possibile addomesticare il nostro tempo? Ci si può chiedere spesso se è il ritardatario che ha bisogno di cambiare o se chi attende ha bisogno di rilassarsi?
Se arrivare in ritardo per te è uno stile di vita che è diventato un peso, impara a organizzarti, a dare la priorità ai vari impegni che scandiscono il tempo.
Se il tuo processo di cambiamento diventa complicato e ti accorgi di non farcela da solo/a, affidati a un professionista oppure alla visione di un buon film:
Virginia: Come faccio a sapere che ci sarai?
Mac: Se ti dico che ci sarò, ci sarò. E sono sempre puntuale.
Virginia: Sempre?
Mac: Sempre. Se ritardo, vuol dire che sono morto.
(Sean Connery e Catherine Zeta Jones nel film Entrapment, 1999)
Bibliografia
Alfonso Signorini – Marilyn. Vivere e morire d’amore – Ed. Mondadori, 2010
Diana DeLonzor – Never Be Late Again – Ed. Post Madison Pub,2002
Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli – Terapia a seduta singola – Ed. Giunti, 2018

La Sindrome del cane San Bernardo: come smettere di dire sempre “Sì”
Rifiutare le richieste, i favori, il supporto a chi te lo chiede…sono cose che ti mettono in grande difficoltà.
Anche se hai degli impegni personali non riesci a non accontentare gli altri e, piuttosto, rinunci tu ai tuoi piani. E così ti ritrovi spesso incastrato in situazioni da cui non riesci a svincolarti per la tua innata indole di aiutare gli altri, che ti porta inevitabilmente a dire sempre di “sì”.
Proprio come un cane San Bernardo dedito al soccorso e all’aiuto anche in condizioni estreme.
Però, a volte dire un “no” è necessario e oggi ti spiego come imparare a farlo.
Se anche a te capita di non riuscire a rifiutare le richieste, questo è l’articolo che fa per te e di seguito ti suggerirò alcune strategie per imparare a dire di no senza sentirti in colpa.
3 passi per imparare a dire di “no”
Prima di descrivere i 3 passi per imparare a dire “no”, vorrei fare chiarezza su un punto fondamentale: si dice di “no” ad una domanda non ad una persona. Questa precisazione che può sembrarti banale, in realtà è ciò che tiene in vita il problema. Infatti, molto spesso, si tende ad aiutare gli altri per essere utili e per fare qualcosa di buono, ma anche per non sentirsi eventualmente in colpa. Attenzione, però, a non confondere l’altruismo con l’essere impegnati costantemente e, soprattutto, a proprio discapito, in costanti “salvataggi”.
Come fare per dire di no senza sensi di colpa?
Ecco i primi 3 passi:
1. “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”
Da oggi, una volta al giorno per due settimane, mettiti in una situazione in cui qualcuno ha una richiesta da farti: può essere una chiacchierata con un amico che ti chiede un prestito, con un collega che ti chiede un cambio turno oppure una richiesta di un membro della tua famiglia e prova a rispondere “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”. Con questa frase puoi permetterti di dire di no alla richiesta che ti viene fatta puntando sul fatto che il rifiuto non dipende da te, ma dai tuoi impegni. Evita di far seguire delle spiegazioni, e se proprio l’altro è insistente accampa una scusa vaga – e se insiste mostrati pure infastidito.
È chiaro che non sempre sarà possibile ogni giorno trovare una situazione in cui qualcuno ti fa una richiesta. L’importante, però, è che ti metti in gioco: se lo fai solo per 2 o 3 volte non serve a nulla.
2. “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”
Quando ti sentirai sicuro di aver fatto tuo il primo passo e ti sentirai più sciolto nel non assecondare ogni richiesta, potrai passare ad un gradino più in alto rispondendo “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”. Rimane sempre l’idea che ci sia un impegno che ti impedisce di accogliere la richiesta dell’altro, ma in più c’è anche un elemento di scelta, perché stai dando una priorità alle tue cose da fare piuttosto che alle sue.
Anche qui, esercitati per due settimane e fai tuo questo nuovo modo di fare.
3. “Potrei aiutarti, ma non mi va”
Adesso è giunto per te il momento di mettere in pratica il terzo passo, rispondendo “Potrei aiutarti, ma non mi va”, mettendo la museruola al Cane San Bernardo che è in te.
Con l’esercizio costante ti renderai conto che ti verrà molto più facile dire di no quando non puoi, non vuoi o semplicemente non ti va, facendo di conseguenza anche cambiare la prospettiva che gli altri hanno di te e, chissà, magari si mostreranno anche più sensibili rispetto a quelle che sono le tue richieste ed esigenze.
E ricorda: se dici di no, non sei una persona cattiva!
Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più con l’apprendimento del dire “no”, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
Cerca sul nostro sito https://www.onesession.it/il terapeuta più vicino a te (o anche online) e più adatto alle tue esigenze.
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Bibliografia
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.

Star bene con gli altri fa bene alla salute: 4 consigli utili.
L’importanza delle relazioni sociali
Ognuno di noi, nella propria quotidianità, è portato a relazionarsi con altre persone: l’uomo è, infatti, un “animale sociale” che tende per natura ad interagire e a creare legami.
Le relazioni che intessiamo rappresentano un elemento importante per la nostra esistenza.
Che si tratti d’amore, amicizia, fratellanza, lavoro o famiglia, ogni relazione porta con sé degli elementi che possono favorire un processo di crescita personale ed incidere sulla percezione che abbiamo della qualità della nostra vita.
Oggi, però, riuscire a mantenere relazioni stabili diventa sempre più difficile: i ritmi di vita, le condizioni di lavoro e, per dirla con Sennet, la nostra condizione di “flessibilità” ha conseguenze dirette nella gestione dei rapporti umani.
Il nostro stile di vita, infatti, può portare ad un impoverimento della sfera relazionale. Intrattenere relazioni sociali è tuttavia fondamentale.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, stabilire relazioni soddisfacenti e mature è un elemento essenziale per il nostro benessere psicologico che, a sua volta, rappresenta un fattore determinante per la nostra salute. Relazionarsi con gli altri è, quindi, una dimensione indispensabile della nostra esistenza, anche se le problematiche relative a quest’aspetto diventano ogni giorno più numerose.
Cosa c’è che non va nelle nostre relazioni?
Oggi le persone che lamentano insoddisfazione nella sfera relazionale sono tantissime. In genere, ad incidere sono soprattutto due aspetti: un aspetto quantitativo “avere poche relazioni” ed uno qualitativo “il relazionarsi in modo superficiale”.
Da un lato, infatti, a partire dai 25 anni i rapporti sociali tendono ad essere sempre meno numerosi, dall’altro, mantenere esclusivamente rapporti superficiali può fare emergere una sensazione di solitudine.
Chi ha problemi ad avere rapporti con le altre persone tende a credere di essere il “solo”, ma non è così.
Contrariamente a quanto si creda, gli italiani mostrano bassissimi livelli di soddisfazione nella loro sfera sociale. Il report BES, pubblicato da Istat, mostra come la qualità delle nostre relazioni sia drasticamente calata dal 2010 ad oggi. Ad essere peggiorati sono tutti gli aspetti della vita sociale: dalle relazioni amicali (-9%) a quelle familiari (-7,5%) in un contesto in cui la fiducia nelle persone è calata sensibilmente (-9%).
Cosa fare per migliorarle?
Se credi che le tue relazioni abbiano bisogno di migliorare, sappi che non sei il solo, e soprattutto, che questo problema non è insormontabile. La prima cosa da fare è capire i motivi per cui sei insoddisfatto delle tue relazioni e provare ad uscire dalla tua zona di comfort. All’inizio ti sembrerà difficile ma ogni tuo sforzo sarà più che compensato.
Ecco per te alcuni consigli su come aumentare il ventaglio delle tue relazioni e migliorare quelle già esistenti:
1) Scegli una cosa che ti piace fare
Frequentare posti in cui entrare in contatto con persone che condividono i tuoi stessi interessi e le tue stesse passioni è un ottimo modo per avviare nuove conoscenze;
2) Vai oltre il “buongiorno”
Sono tante le persone che quotidianamente incrociamo ma di cui sappiamo poco o nulla. Prova ad andare oltre il semplice saluto. Da un caffè può nascere una splendida amicizia.
3) Scopri il territorio
Il luogo in cui vivi ti offre tanto: dalle attività culturali alle occasioni di svago. Sicuro di aver preso in considerazione tutte le opportunità? Scegline una ed esci!
Sii cittadino attivo
Aiutare gli altri ci permette di star meglio con noi stessi ed incontrare persone e storie nuove. Impegnati in una causa sociale che ti sta a cuore.
E se non funziona? Non temere! Può accadere che da soli non si riesca a raggiungere l’obiettivo desiderato. In tal caso puoi rivolgerti ad un professionista che ti aiuterà ad individuare quali siano per te i passi più giusti da compiere.
Grazie alla Terapia a Seduta Singola hai la possibilità di ottenere risultati in tempi brevi partendo dalle tue risorse e dai tuoi punti di forza. A volte anche un solo incontro può aiutarti a farti superare quelli che ti sembravano ostacoli insormontabili.
Roberta Miele
BIBLIOGRAFIA
R.Sennet (2001), L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale. Feltrinelli.
Rapporto BES 2018, ISTAT .
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics .

Hai mai sofferto il giudizio degli altri?
Ti senti inadeguata, sotto giudizio, ti senti sempre piccola e gli altri sempre più grandi e più bravi di te?
Quando sei davanti ad altre persone che conosci poco o non conosci per niente, ti senti sempre sotto esame, come se dovessi continuamente dimostrare quanto vali?
Hai paura di come ti vedono gli altri e senti puntati addosso i loro occhi, tanto da chiederti continuamente: “Sarò stata abbastanza brava? Cosa penseranno di me? Mi riterranno alla loro altezza?”.
Non c’è dubbio, soffri molto il giudizio degli altri, forse al punto da star male e condizionare buona parte della tua vita. Nonostante le conferme e il giudizio positivo che ricevi dall’esterno, niente sembra sufficiente per rassicurarti e farti sentire più adeguata.
Nei momenti di lucidità, sei consapevole che non sono sempre tutti lì a giudicarti, di non essere sempre al centro dei pensieri degli altri ma poi torna inevitabilmente la paura di non essere abbastanza e di conseguenza di essere giudicata.
Non ti senti abbastanza brava, bella, brillante o intelligente. Pensi di non essere un buon partner o un bravo genitore o magari non ti senti abbastanza di successo nel tuo lavoro.
Questi pensieri forse sono continuamente nella tua testa, chissà quante cose avrai fatto per ottenere un “sei brava” e quante per paura di non riceverlo!
A qualcuno sarà capitato di sentirsi dire dai genitori o dalle persone amate: “Non vali niente! Potevi fare di più! Non sei stato molto bravo!” e queste frasi probabilmente lo avranno portato ad aver paura del giudizio degli altri. Ma non è necessario per forza avervissuto un’infanzia difficile per sviluppare questa paura, molti si ritrovano con la paura del giudizio pur provenendo da famiglie affettuose e serene.
Avrai sentito tante volte la gente giudicare gli altri, e purtroppo sono in tanti a farlo, ma nonostante ciò, non devi lasciare che il tuo desiderio di voler essere apprezzata da tutti in ogni momento crei dentro di te la paura del giudizio degli altri, imponendoti il modo in cui ti approcci alla vita.
Ti chiederai: “Ok, ma come posso fare? Come posso superare la paura del giudizio degli altri?”.
Come prima cosa ti suggerisco di cercare di capire chi vuoi essere!
Se sei spesso concentrata su che cosa gli altri pensano di te probabilmente non hai ben chiaro chi vuoi essere nella vita. Per questo devi cercare di capire chi sei, individuare i tuoi limiti per imparare ad accettarli ma soprattutto devi scoprire i tuoi punti di forza, perché sono quelli che ti aiuteranno a tenere a bada la paura del giudizio.
Un’altra cosa che ti suggerisco è di smettere di giudicarti!
Se sei tu per prima a dare troppa importanza a ciò che pensi e fai, forse hai un senso critico troppo duro nei tuoi confronti e finché non smetterai di giudicarti tu per prima, probabilmente avrai sempre la sensazione che lo facciano anche gli altri.
Come ultimo suggerimento ti consiglio di lavorare sulla tua autostima!
Il problema centrale dell’aver paura del giudizio degli altri è che tu probabilmente non credi in te stessa, se lo facessi, non ti importerebbe così tanto di quello che pensa la gente. Per questo sarebbe opportuno che tu lavorassi su come aumentare la fiducia in te stessa.
Magari leggendo dei libri o facendo degli esercizi mirati per aumentare l’autostima.
Quando una persona ha così paura di essere giudicata, spesso alla base ci sono insicurezze che si porta dietro dal suo passato, quindi se così fosse potrebbe esserti utile rivolgerti ad un terapeuta che ti consentirà di accrescere la tua fiducia e la tua forza interiore sconfiggendo la tua paura e ottenendo così dei buoni risultati già dopo una solo incontro.
Non aspettare quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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I primi 3 passi per uscire da una relazione tossica
Ti senti spesso triste e in ansia?
Ormai senza quasi accorgertene dai sempre precedenza alle esigenze e i bisogni del tuo partner trascurando i tuoi?
Per evitare discussioni con lui scendi di continuo a compromessi senza imporre mai le tue volontà?
Se non ti senti serena e libera di esprimerti in modo naturale, se ti senti insicura e sola, se ti accorgi di essere in una relazione in cui hai paura di essere te stessa, allora credo proprio che non sia una relazione propriamente sana.
In una relazione accade spesso che ci siano incomprensioni, momenti o comunque dinamiche con il proprio partner che non ci rendono molto appagate e felici, ma questo è normale se gli episodi avvengono sporadicamente o se capita in periodi particolari, magari periodi in cui ci sono dei cambiamenti. D’altronde si sa, non esiste una relazione totalmente perfetta.
Certo! Il discorso è diverso se la tua tristezza, il tuo sentirti insicura, infelice, la tua frustrazione rispetto quelli che sono i tuoi desideri e bisogni sempre trascurati e tutti gli stati d’animo negativi che ne derivano, rappresentano la quotidianità o quasi. In tal caso parliamo di veri e propri campanelli d’allarme di una relazione tossica che sarebbe meglio cercassi di risolvere. Ma se hai già provato a farlo senza alcun risultato, allora sarebbe meglio chiuderla prima che peggiori.
Meglio che eviti di ritrovarti in situazioni pericolose da cui uscire diventa sempre più difficile e doloroso, non credi? Rifletti sui motivi che ti spingono a continuare questa storia d’amore che non ti rende più felice.
Forse la paura della solitudine o la voglia di condivisione ti spingono ad accettare questa relazione anche se ti rende la vita impossibile e infelice.
Tranquilla, non sentirti sbagliata, può succedere che il bisogno di ricevere amore e attenzioni possa averti fatto scambiare una relazione difficile e malata come l’unica via per essere felice. Ma credimi, puoi essere felice anche senza avere una relazione!
L’amore deve portare serenità e benessere non dolore e sofferenza!
Non devi aver paura di rimanere sola. Impara a volerti bene e darti il valore che meriti, solo in questo modo riuscirai ad essere felice e a vivere una storia d’amore serena. Nel momento in cui imparerai a dedicarti con amore a te stessa, vedrai che attirerai le relazioni e gli uomini che meriti. Se ci pensi, come potresti amare qualcuno se per prima non ami te stessa?
Ma vediamo, come puoi fare per uscire da questa relazione tossica, da questo rapporto malato che forse sarebbe opportuno interrompere il prima possibile? Eccoti di seguito i primi 3 passi da fare:
- Prima di tutto devi riuscire ad ammettere che la relazione che stai vivendo è una relazione disfunzionale che ti rende insicura e infelice. Per questo sarebbe opportuno seguire una psicoterapia che ti permetta anche di comprendere le possibili motivazioni che ti hanno portato a continuare a vivere una relazione divenuta tossica.
- Osserva attentamente la situazione e comincia a riflettere su come poterla risolvere, sul “piano d’azione” da mettere in atto, ai passaggi necessari che dovrai affrontare per chiuderla. Considera quindi tutte le possibili difficoltà che ti si potranno presentare una volta che avrai deciso di chiudere definitivamente la relazione, e come affrontarle. Soprattutto se nella vostra relazione è presente violenza fisica. Devi cercare di prevedere ogni cosa non solo per la tua sicurezza, ma anche per quella dei tuoi eventuali figli.
- Passa all’azione mettendo in pratica tutto quello che hai pianificato precedentemente. Nelle relazioni sentimentali sane è opportuno comunicare di persona la decisione di chiudere la relazione, mentre in quelle tossiche, a volte è preferibile andarsene quando il partner è assente per evitare violenza e scenate pericolose o comunque utilizzare altre vie come il telefono, l’email o altro ancora.
Senti di farcela? Lo so, immagino non sia facile, ma posso garantirti che puoi uscire da questa difficile situazione. Se ti senti troppo fragile e senti di non potercela fare da sola, affidati a un terapeuta che sostenendoti ti indicherà la strada da seguire per uscire da questa relazione tossica.
Pensa, è stato dimostrato che, già dopo una Singola Seduta puoi ottenere dei risultati inaspettati. Cosa aspetti quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Mobbing: violenza psicologica a lavoro
Non ce la fai proprio più, sei stanco fisicamente e psicologicamente, vorresti quasi ti venisse la febbre piuttosto che andare a lavoro, eppure, una volta ti piaceva!
Ora, ogni mattina non appena suona la sveglia, con la luce del giorno ecco che arriva anche l’ansia e il mal di stomaco. Andare a lavoro ormai è diventato troppo pesante. In azienda, il tuo capoufficio non si regola proprio, si rivolge a te sempre attraverso critiche, calunnie e con un comportamento aggressivo e vessatorio.
Sembra faccia di tutto per emarginarti, sembra proprio c’è l’abbia con te!
Ti ha spostato da un ufficio all’altro quasi senza avvertirti, ti ha affidato compiti dequalificanti e ti mette sistematicamente in ridicolo di fronte a clienti, colleghi e superiori. Sopporti da tanto e ancora ti chiedi quale sia lo scopo di tali comportamenti e perché si comporta in questo modo con te. Hai sentito parlare tanto di Mobbing e ti stai chiedendo se ne sei o no una vittima?
Allora vediamo un attimo, se per esempio, il tuo capoufficio arriva in ritardo a lavoro, nervoso e arrabbiato perché gli hanno tamponato l’auto nuova mentre veniva in ufficio, e quando arriva tutto trafelato, tu gli riferisci subito un problema lavorativo o che deve fare una telefonata a un cliente indigesto, allora in questo caso è praticamente sicuro che verrai trattato male e ti farà sentire umiliato e ferito.
E’ vero! Dovrebbe controllarsi perché non è colpa tua se lo hanno tamponato, però diciamo che comunque, questo suo modo di fare aggressivo e sicuramente poco piacevole da subire, fondamentalmente è legato a un fattore situazionale, che in questo caso è l’auto tamponata, ma potrebbe essere per esempio: una giornata storta, problemi privati, un forte mal di testa, o altro, e quindi i modi fastidiosi che ne derivano sono molto sporadici e non possiamo parlare di Mobbing.
Se invece, il comportamento da prepotente del tuo capoufficio è una vera e propria abitudine, le critiche, le umiliazioni e l’aggressività nei tuoi confronti sono ormai quotidiani e durano già da parecchio tempo, allora possiamo parlare di Mobbing.
Il Mobbing infatti si manifesta con una serie di azioni aggressive, che vengono messe in atto dal “mobber” in modo sistematico e si ripetono per un lungo periodo di tempo, con lo scopo ben preciso di danneggiare una determinata vittima o il “mobbizzato”.
Il mobbizzato viene assalito e aggredito intenzionalmente da questi mobber che fanno di tutto per distruggerlo a livello sociale, professionale e ovviamente psicologico, portandolo all’isolamento e all’emarginazione.
Qual’è il loro scopo? Può essere vario, ma sicuramente sempre distruttivo. Un mobber potrebbe volerti eliminare perché sei divenuto in qualche modo “scomodo” e con il suo comportamento non cerca che indurti a dare le dimissioni o di provocare un tuo licenziamento.
Se ti sei riconosciuto nel mobbizzato, non vergognarti a chiedere aiuto. Lo sai che nei casi più gravi il tuo capoufficio potrebbe addirittura arrivare a sabotarti il lavoro e ad azioni illegali? Quindi cosa aspetti a fare qualcosa?
E’ importante tu richieda un supporto di tipo sociale e di tipo legale e che ti rivolga a un terapeuta che possa aiutarti a riprenderti a livello psicologico lavorando su tutti quegli aspetti negativi generati in te dal mobbing, come: la vergogna, la disistima, il fatto di sentirti umiliato, di esserti ritirato nella solitudine ma anche per poter gestire tutta la rabbia provocata dai comportamenti subiti dal tuo capoufficio.
Se non vuoi che la tua condizione peggiori, cosa ne dici di chiedere subito aiuto a un terapeuta? Ti sembrerà strano, ma ricerche hanno dimostrato che spesso, anche con una singola seduta di terapia, imparando a recuperare e utilizzare le tue risorse potrai lavorare su tutti questi aspetti che ti ho appena riportato e vedrai che il tuo capoufficio non riuscirà più ad avere la meglio su di te!
Contatta uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta che ti è più vicino e soprattutto più adatto alle tue esigenze.
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Fobia sociale: sto bene anche da solo ma ho bisogno di te
Sarà capitato anche a te di fare un discorso in pubblico, di affrontare un colloquio di lavoro o di vivere qualsiasi altra situazione sociale. Spesso magari con la paura di “fare brutta figura”. E se l’ansia, di fronte a situazioni di questo tipo, diventasse intensa e invalidante? In questo caso, parleremo di fobia sociale, detta anche ansia sociale.
La paura del giudizio: che penseranno di me?
La fobia sociale fa parte dei disturbi d’ansia e comporta il provare un’immotivata ansia generalizzata, nonché una paura intensa e pervasiva, di fronte a svariati contesti sociali, per paura del giudizio altrui o di mettere in atto comportamenti imbarazzanti (come tossire, starnutire, perdere il controllo…).
Le occasioni in cui si presenta possono essere varie, come il parlare in pubblico, o semplicemente il fare la spesa al supermercato. Sono tutte situazioni in cui, in un modo o nell’altro, il soggetto si sente al centro dell’attenzione. Non credere però che si tratti di una patologia che ha un’unica modalità di espressione: tutt’altro!
Come in ogni altro disturbo psicologico, anche qui alcuni ne soffrono in maniera più lieve, altri in forma più grave. Alcune persone mostrano la propria ansia attraverso semplici manifestazioni fisiche, come sudorazione, palpitazioni, tremori o addirittura veri e propri attacchi di panico. Altri ancora, invece, vivono pure una sorta di angoscia e inquietudine perenne, che preclude loro di fare qualsiasi cosa presupponga un contatto con gli altri.
Bagnarsi ancor prima che piova: l’evitamento
L’elemento fondamentale che dunque caratterizza la fobia sociale è che la persona viene sopraffatta da un’ansia eccessiva di fronte a un determinato evento sociale. L’esporsi in pubblico, però, genera un disagio persistente che non si presenterà soltanto durante l’esperienza, ma anche molto tempo prima rispetto alla data in cui tale esposizione avverrà: si chiama ansia anticipatoria.
Tale ansia influenzerà negativamente qualsiasi tipo di comportamento il soggetto deciderà di compiere in futuro, specialmente riguardo quello specifico evento. In un certo senso, chi soffre di fobia sociale si bagnerà ancor prima che inizi a piovere!
Supponi, per esempio, di dover affrontare un colloquio di lavoro con l’equipe di un’azienda. Normalmente, prima di un colloquio di lavoro, può subentrare in chiunque un po’ d’ansia. Nel caso della fobia sociale, però, quest’ansia incomincerà già parecchi giorni prima. Il solo pensiero del colloquio, causerà una persistente paura del giudizio, intenso disagio, agitazione, il timore di mettere in atto comportamenti umilianti. E quale sarà la conseguenza di queste paure ansiose? Naturalmente, evitare di andare al colloquio, pur di non provare più quel fastidioso disagio interno.
Le conseguenze: “Sto bene anche da solo, ma ho bisogno di te”
Il disagio che prova chi soffre di fobia sociale è talmente elevato che condurrà quest’ultimo all’evitamento di qualsiasi situazione presupponga un contatto con gli altri. La fobia sociale predilige la solitudine, piuttosto che la relazione. Il soggetto metterà in atto una serie di atteggiamenti e stratagemmi in grado di consentirgli di evitare le relazioni, ma perseguire ugualmente le proprie attività quotidiane.
E’ una modalità di vivere l’esistenza altamente invalidante: qualsiasi persona è, infatti, immersa in un contesto sociale dal quale non può prescindere. Anche il semplice andare a fare la spesa o prendere un autobus, presuppone un contatto con qualcuno. Riusciresti a fare qualsiasi delle tue attività quotidiane, senza entrare in relazione con altri? Impossibile. Eppure è quello che illusoriamente vorrebbe chi soffre di fobia sociale: l’ansia sperimentata è talmente elevata che induce, talvolta, a non uscire nemmeno di casa, specie nelle forme più invalidanti.
Per questo motivo, chi soffre di ansia sociale, ha spesso poche amicizie, fa un lavoro in cui le relazioni col pubblico sono pari a zero e soffre anche di bassa autostima. L’evitamento delle situazioni sociali, tuttavia, non farà altro che aumentare la fobia, anziché diminuirla. Ridurrà, ovvero, il livello di autostima, mantenendo al contempo alti i sentimenti di inferiorità e inadeguatezza. Non è raro, d’altronde, che, assieme alla fobia sociale, sono presenti anche altri disturbi, specie di tipo ansioso-depressivo.
La via breve per superare la fobia sociale
L’uomo è un essere sociale: se al contatto con gli altri prova intenso disagio, allora c’è qualcosa che non va. Non sto parlando di chi è introverso, perché il problema principale non è provare ansia durante alcune relazioni sociali (capita di continuo a tutti), ma di esperire un disagio che conduce a mettere in atto comportamenti di evitamento per la paura del giudizio altrui.
Dayhoff, per l’ansia sociale di lieve entità, suggerisce alcuni piccoli stratagemmi, come fare telefonate, prendere parte a eventi sociali (per aumentare le interazioni con gli altri), oppure anticipare l’imbarazzo alle persone con cui ci si relaziona (“Ti avverto, diventerò rosso: non farci caso”). Stratagemmi che servono per normalizzare l’ansia e non essere del tutto ingabbiati dentro comportamenti evitanti.
Se con questi piccoli metodi non riuscirai a risolvere la tua situazione, allora è probabile che la fobia di cui soffri è più radicata. Prendi coraggio, e prova a parlarne con uno psicoterapeuta. So che anche questo presuppone un contatto con un’altra persona, ma in quel caso sei nel posto giusto: lui non aspetta altro che cercare di capire insieme te, qual’è la soluzione più adatta al tuo caso.
La soluzione c’è, e si può ottenere anche in poche sedute, se non che in un’unica seduta. Si tratta di trovare la chiave per “sbloccare” ciò che è rimasto “bloccato”. E la strada per farlo è, manco a dirlo, riprendere, gradualmente, a stare con gli altri!
Bibliografia consigliata
Dayhoff, S.A. (2008). Come vincere l’ansia sociale, Erickson, Trento.
Nardone G. (2014), Paura, panico, fobie, Tea, Milano.

Scopri se sei una dipendente affettiva
Se hai questo pensiero ovviamente è perché avrai sentito parlare molto di questo argomento. Effettivamente è una condizione comune a molte donne ma anche a parecchi uomini, che spesso ne sono affetti inconsapevolmente, e proprio per questo, la loro vita relazionale continua a fare acqua da tutte le parti.
Quando senti parlare di dipendenza, solitamente, penserai a quella da alcool, droga o al massimo dal cibo. Il dipendente affettivo invece dipende da una relazione. Si, dipende! Ma attenzione, non si parla per forza di dipendenza dal proprio partner, ma per esempio anche di quella da un’amica o un genitore, anche se ovviamente hanno delle sfumature diverse.
Quando si trova in coppia, il dipendente affettivo dipende dall’altro sia per essere felice che per essere amato. L’altro diviene essenziale, il centro di tutta la propria vita. I propri bisogni passano in secondo piano, per assecondare sempre i bisogni dell’altro, fare sempre ciò che vuole l’altro, poiché in questo modo si pensa che il partner non lo lascerà mai, che non può abbandonarlo.
Ma purtroppo, ciò che il dipendente affettivo non riesce a comprendere è proprio questo. Tale atteggiamento invece di far rimanere il partner, fa materializzare proprio la paura del dipendente affettivo, e cioè quella di essere abbandonato, di essere lasciato solo. Infatti il partner con il tempo, tenderà a stufarsi di questa situazione di estrema accondiscendenza e sudditanza e andrà alla ricerca di una persona più stimolante, di una persona che sappia esprimere la sua opinione, con le proprie idee, un suo modo di pensare e vedere le cose e che abbia anche altri interessi oltre la relazione stessa.
Pensi di essere anche tu una dipendente affettiva ma non sei sicura?
Prova a scoprirlo vedendo se ti rispecchi in qualcuna delle caratteristiche che ti elenco qui di seguito. Ho iniziato riportando prima quelle più comuni, poi quelle per fortuna meno frequenti essendo più gravi:
- Hai sempre un bisogno impellente di stare con il tuo partner;
- Non ti ritieni alla sua altezza;
- Non riesci a spiegarti perché sta con te;
- Provi una gelosia molto forte nei suoi confronti;
- Hai bisogno del tuo partner per fare qualsiasi cosa;
- Hai difficoltà a stare sola;
- Metti al secondo posto le tue esigenze e bisogni per soddisfare i suoi;
- Hai paura che il tuo partner ti abbandoni, ti lasci sola;
- Sei disposta a subire tradimenti e bugie pur di rimanere con lui;
- Neghi l’evidenza di un rapporto non sano pur di non affrontare i problemi;
- Sei disposta a subire maltrattamenti fisici e psicologici pur di non perderlo.
Vediamo un pò se sono riuscita a darti una mano? Se ti ho un pò aiutato a farti rendere conto della situazione che stai vivendo? Solitamente, chi è affetto da dipendenza affettiva è difficile che se ne accorga, dato che non vede la dipendenza come un problema, ma al contrario queste persone vivono l’amore ed il rapporto con il loro partner come la soluzione ad ogni problema.
Questo, infatti, spesso è il motivo principale per cui chi vive una situazione del genere arriva in terapia solo dopo anni di sofferenza e sacrifici, e nonricerca un terapeuta per questa difficoltà, ma per altri tipi di problemi come: ansia, problemi psicosomatici, attacchi di panico, disturbi del sonno o dell’umore, ecc.
Questi disturbi potrebbero infatti cominciare a presentarsi quando il tuo corpo manifesta la sofferenza attraverso i sintomi, il tuo corpo potrebbe ribellarsi a ciò che tu non vuoi vedere e continui ad accettare passivamente.
Non è facile, ma posso garantirti che puoi uscire da questa situazione affidandoti ad uno psicoterapeuta che ti aiuterà a spezzare questo circolo vizioso, questo bisogno di dipendere in tutto e per tutto dall’altro, insegnandoti a volerti bene e a recuperare la tua autostima e la tua forza.
Pensa, si è osservato che in alcuni casi, già dopo una Singola Seduta puoi ottenere dei risultati inaspettati. Cosa aspetti quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito onesession.it , il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Crisi adolescenziale: diventare adulti (o quasi)
Supponi di avere tra le mani un elastico e di tenderlo con l’una e l’altra mano sia verso destra che verso sinistra. L’elastico si dilaterà in relazione alla forza con cui lo tirerai da entrambe le parti, ma se continuerai a farlo all’infinito e a non rispettare il suo punto di equilibrio, dopo un po’ si deformerà.
E’ quello che capita agli adolescenti: essi vengono attratti da una parte dall’infanzia, che devono necessariamente abbandonare, e dall’altra dalla nuova vita adulta, cui si dovranno conformare. Lasciare l’infanzia per andare incontro all’adultità non è però semplice: vorrebbe dire abbandonare il proprio nucleo familiare, le sicurezze fino ad allora costruite e dirigersi verso una nuova forma di identità (Erickson, 1959), percorso che alcuni definiscono col termine di “individuazione” (Mahler et al., 1975; Mahler, 1968). Con “crisi adolescenziale” si intende proprio questo processo, ovvero un intenso periodo di passaggio, di cambiamento e di ricerca di stabilità interna ed esterna (Erickson, 1959; Ammaniti, 2002).
L’adolescenza
Tutta l’adolescenza, d’altronde, è il lasso di tempo durante il quale un ragazzo sperimenta, conosce e cerca di comprendere nuove situazioni sociali, psicologiche e fisiche. In altre parole, è il periodo in cui tutti i nodi del passato vengono al pettine, e si cerca di risolverli prima di entrare a far parte della vita adulta. La crisi si presenta, quindi, come la logica e necessaria conseguenza del tentativo di crescere e diventare autonomi (Ammaniti, 2002).
Pertanto, se sei un adolescente (o un genitore), non devi preoccuparti più di tanto se talvolta piangi, ti senti solo, triste, litighi con tua madre o tuo padre, poiché sono tutti elementi che fanno parte del normale processo di sviluppo che qualunque persona prima o poi deve affrontare. Per usare le parole di Winnicott: “L’adolescente è immaturo, ma l’immaturità è un elemento essenziale della sanità nell’adolescente” (1971).
Tipici comportamenti adolescenziali sono il rifugiarsi nel gruppo di amici, esplorare nuove emozioni con l’altro sesso o addirittura scontrarsi con i genitori, i quali spesso vorrebbero non vederti crescere, ma rimanere bambino (e allora tu, adolescente, faresti bene a seccarti con loro: il tuo obiettivo è quello di diventare un adulto, e non di rimanere un bambino! Altro che crisi: è un dovere farlo!). Sono tutte cose che fanno parte di questo particolare e complesso periodo di “crisi” dell’esistenza che, te lo ripeto, è auspicabile che si presenti in tutti i ragazzi.
E’ il caso di preoccuparsi?
Non sempre ma possiamo osservare alcune cose come, ad esempio, quando i tratti e i comportamenti diventano piuttosto marcati ed eccessivi: la tristezza, così, può sfociare nella depressione, oppure una delusione d’amore può far nascere desideri autolesionistici (Ammaniti, 2002). Una crisi “normale”, infatti, verrà superata più o meno naturalmente col passare del tempo, cosa che permetterà al ragazzo di diventare un adulto in maniera adattiva.
In una crisi complicata, invece, l’elastico non solo si deformerà, ma rischierà pure di rompersi: l’adolescente sarà incapace sia di abbandonare la propria infanzia che di accettare la vita adulta, rimanendo così in un limbo tra i due poli o rinchiuso all’interno di uno di essi. E’ il caso, ad esempio, di tutti quei ragazzi che commettono furti, fanno uso di sostanze, mettono in atto comportamenti violenti o, al contrario, si ritirano in sé stessi, diventano asociali oppure eccessivamente timidi (Jeammet, 1992; Ammaniti, 2002). E’ evidente che qualcosa, in queste circostanze, è andato storto: l’adolescente andrebbe aiutato a riprendere la giusta via di crescita,interrotta da un qualche fattore interno o esterno (un lutto? la perdita di una persona cara? un trauma?).
Come? Bè, non c’è una sola strada da percorrere.
L’adolescenza ha un’enormità di sfaccettature psicosociali che, oltre al ragazzo, includono la famiglia e la scuola. Se rimaniamo però nell’alveo psicoterapeutico, l’obiettivo è di condurre l’adolescente a una più matura identità di sé (Erickson, 1959; Senise, 2014). Si parla in certi casi di “terapia breve d’individuazione”, durante la quale l’adolescente viene portato, in poche sedute, a investire sulle proprie emozioni, sui propri affetti, nonché a sollevare dubbi e mettere in atto un pensiero e un esame di realtà più funzionale (Senise, 2014).
Lo stesso intervento si potrebbe fare nei confronti dei genitori (psicoterapia sistemica). In definitiva, si tratta di sperimentare fino a quando “quell’elastico”può essere teso, con quali modi e quale forza, fino al raggiungimento di un punto d’equilibrio ideale. Il chè corrisponderebbe con la tanto agognata entrata a far parte della vita adulta.
Bibliografia
Ammaniti, M. (2002). Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Raffaello Cortina, Milano.
Erickson, E.H. (1959). Identity and the life cycle, Psychological Issues, International Universities Press, New York.
Mahler, M.S., Pine, F., Bergman, A. (1975). La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino.
Jeammet, P. (1992). Psicopatologia dell’adolescenza, Borla, Roma.
Senise, T. (2014). Psicoterapia breve d’individuazione, Mimesis, Milano.
Winnicott, D.W. (1971). Gioco e realtà, Armando, Roma.