
Terapia a Seduta Singola e Binge Eating Disorder
Il rapporto tra l’uomo è il cibo è un rapporto complicato.
Sappiamo quanto sia importante fisicamente e psicologicamente avere una corretta alimentazione e al contempo sappiamo quanto sia difficile mantenerla.
Il rapporto con il cibo è spesso controverso: alcuni si concedono gli eccessi, altri se ne privano del tutto; c’è chi non svolge attività fisica e chi al contrario ne abusa.
Mangiare è un piacere e al contempo una maledizione, soprattutto se consideriamo che non mangiamo solo “per fame” ma anche per socializzare; sono tanti i momenti in cui il cibo può trasformarsi in un premio o in una punizione e per alcuni strutturarsi come un problema.
Che cos’è il Binge Eating Disorder (BED)?
Quando parliamo di Disturbo Alimentare, ci riferiamo a un alterazione delle abitudini alimentari che comportano conseguenze sia fisiche che psicologiche, a causa dell’eccessiva preoccupazione rispetto al peso o alla forma del proprio corpo.
Il BED insorge tardi, tra i 25 e i 35 anni.
Il Binge Eating Disorder è stato inserito tardi nei Disturbi della nutrizione e della alimentazione; solo con il sopraggiungere del DSM-5.
Ciò che caratterizza questo disturbo è l’abbuffata: si presenta almeno 1 o 2 volte a settimana, senza che la persona ricorra in seguito a condotte di eliminazione.
L’abbuffata si alterna poi a periodi di digiuno e di restrizione alimentare piuttosto rigida che conducono ad abbuffarsi nuovamente.
Il comportamento cardine è la difficoltà nel controllare l’impulso a mangiar, motivo che spesso porta le persone che soffrono di BED all’obesità.
Ma cosa significa abbuffarsi?
L’abbuffata deve soddisfare alcuni parametri per essere ritenuta valida: non sto descrivendo infatti un momento di “sgarro” o cui la concessione di un alimento in più del necessario; al contrario l’abbuffata è riconoscibile per:
- Una quantità di cibo ingerita in un tempo limitato che è decisamente superiore al quantitativo normale che si ingerirebbe in quello stesso arco di tempo
- Una sensazione di totale perdita di controllo nei confronti del cibo.
L’abbuffata compulsiva presenterà almeno tre di questi tratti:
- Mangiare molto più rapidamente del normale;
- Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa;
- Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
- Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
- Provare disgusto di sé, intensa colpa o disagio dopo aver mangiato troppo.
Ricapitolando, chi soffre di BED avrà difficoltà a controllare l’impulso a mangiare e 1 o 2 volte a settimana sarà vittima di un abbuffata compulsiva, alternata a periodi di rigido controllo alimentare.
Il controllo che fa perdere il controllo.
Il problema fondamentale è l’impossibilità di trovare un equilibrio tra il controllo e la perdita dello stesso; questo circolo vizioso infatti mantiene in vita il problema stesso.
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Pensaci! Più tenti di controllarti e più hai difficoltà nel farlo. Se hai deciso di vietare rigorosamente la cioccolata, incontrerai forti difficoltà a resisterle –quando avrai la possibilità di mangiarla- a causa di un crescente desiderio scatenato dall’auto imposizione.
Finirai per mangiarne più del necessario.
Come diceva Oscar Wilde: “ il miglior modo per resistere a una tentazione, è cedervi”
Cosa puoi fare?
Il primo passo è riprendere il controllo sul cibo e modificare le convinzioni errate che sono alla base dei tuoi divieti e delle tue paure rispetto a particolari cibi.
In secondo luogo, ridurre le abbuffate, costruendo un equilibrio alimentare.
- Controlla il cibo concedendotelo:
Ho appena spiegato come i divieti accrescono il desiderio. Anziché avere un controllo eccessivo e restrittivo del cibo, è importante che impari a concedertelo ed evitare di assumere un atteggiamento di totale e rigido rifiuto.
- Restringere senza restrizioni:
Prova a mangiare quanto vuoi e quello che vuoi ma all’interno dei tre pasti principali. Circoscrivi l’atto del mangiare in un tempo ben definito, concedendoti però tutto quello che vuoi.
- Fai una lista:Ogni mattina ti alzi e puoi scrivere una rapida lista pensando: “se oggi volessi peggiorare le mie abitudini alimentari, cosa dovrei fare?”
Fai una lista con tutti i comportamenti che ti vengono in mente come “mangiare schifezze”, “mangiare più del solito” e cosi via.
A fine giornata riprendi la lista e sbarri i comportamenti che hai messo in atto.
Come può esserti d’aiuto la Terapia a Seduta Singola?
In primo luogo se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi, uno psicologo e un nutrizionista.
La Terapia a Seduta Singola è utile perché consente individuare le tue tentate soluzioni, ovvero i comportamenti che mantengono in vita il problema, e di bloccarli.
Si lavora partendo dalle risorse della persona, per capire quale sarebbe il primo passo per modificare in meglio il rapporto con il cibo e decidere che obiettivo si intende raggiungere.
Dopodichè si concorda una strategia insieme e come procedere.
Smettere di abbuffarsi è possibile e anche in un solo incontro con lo psicologo è possibile ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Nardone, G (2007) La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Nardone, G. Verbitz, T. Milanese, R. (1980). Le prigioni del cibo. Vomiting, anoressia, bulimia. La terapia in tempi brevi.Tea
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita

Quando una sola seduta può essere sufficiente
Quanto dura un percorso psicologico?
Un mese?
Un anno?
Di più?
E se una sola seduta fosse sufficiente?
Il numero più frequente di sedute in psicoterapia è 1
Intorno agli anni ’90 lo psicologo Moshe Talmon fece una scoperta casuale. Gli capitò di analizzare il numero di accessi dei pazienti seguiti al Kaiser Permanente, il centro dove lavorava.
Talmon si rese conto che, confrontando l’attività di una trentina di operatori tra psichiatri, psicologi e operatori sociali, il numero più frequente di sessioni di terapia era uno.
Spinto da questa scoperta condusse una ricerca più strutturata che portò ai seguenti risultati:
- uno è il numero più frequente di sedute in psicoterapia
- tra il 20 e il 50% delle persone sceglie di fare una sola seduta
- fino all’80% delle persone che scelgono di fare una sola seduta ritiene di stare meglio o di aver risolto il suo problema.
Questi risultati sono stati confermati in diverse parti del mondo: una recentissima ricerca ha potuto estendere questi dati anche alla realtà italiana (Cannistrà et al., 2020).
Col lavoro pioneristico di Talmon si è quindi messa in dubbio l’idea comune che i cambiamenti psicologici abbiano bisogno di lunghi periodi per avvenire.
A scardinare ancora di più questa idea ci pensa lo psicologo Michael Hoyt, il quale ritiene che il numero più frequente di sedute in psicoterapia sia addirittura zero!
Che significa?
Prova a pensare: quante volte nella tua vita hai dovuto affrontare dei problemi? E quante volte ti sei rivolto ad uno psicologo per risolverli?
Generalmente le persone risolvono i propri problemi da sole, perché hanno le risorse per poterlo fare!
Trarre il massimo da ogni singolo incontro grazie alle risorse della persona
La terapia a seduta singola è una tecnica che permette di massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Per farlo, sfrutta al meglio le risorse di tipo cognitivo, emotivo, sociale ed esperienziale che l’individuo già possiede ma che in quel momento magari non riesce ad usare al meglio o non riesce a vedere.
In un incontro di Terapia a Seduta Singola ogni seduta è concepita come completa in sé: ci si focalizza su un problema specifico portato dalla persona e si lavora fin da subito per raggiungere un obiettivo concordato.
L’interesse di una Terapia a Seduta Singola non è tanto ricercare le cause del problema quanto focalizzare l’obiettivo e identificare le risorse e capacità che possono facilitare l’individuo nel suo raggiungimento, eventualmente bloccando comportamenti controproducenti che mantengono vivo il problema.
Quindi posso risolvere tutti i miei problemi in un solo incontro?
Sebbene le ricerche dimostrino che una sola seduta può essere sufficiente, non è possibile stabilire a priori se sarà così. Alcune persone beneficiano di un solo incontro, altre hanno la necessità di intraprendere un percorso (anche breve). Va bene in ogni caso, esistono persone e persone, problemi e problemi.
Che basti un incontro o che ne servano altri, con la Terapia a Seduta Singola si lavora come se quel primo incontro fosse potenzialmente l’unico, massimizzandone quindi l’efficacia.
Per quali problemi e situazioni funziona?
La Terapia a Seduta Singola è efficace per ampissimo numero di problemi, quali ansia e attacchi di panico, depressione, disturbo post traumatico da stress, insonnia, disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Può essere utile anche tutte quelle situazioni dove non esiste un problema o un disturbo conclamato, ma si ricorre allo psicologo ed alla Terapia a Seduta Singola per prendere una decisione o per migliorare degli aspetti di se stessi.
Il fatto che ogni incontro sia completo in sé, inoltre, permette di pensare allo psicologo come al medico di famiglia: un professionista a cui rivolgersi al bisogno.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Cannistrà et al. (2020), Examining the Incidence and Clients’ Experiences of Single Session Therapy in Italy: A Feasibility Study, Australian and New Zealand Journal of Family Therapy
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.

Perché mi capita sempre la stessa cosa?
Ti è mai capitato di sentirti “intrappolato” nel tuo problema?
Hai mai provato la sensazione che, per quanti sforzi tu possa fare, ti capiti sempre la stessa cosa?
Se hai risposto sì, forse è perché per affrontare le tue difficoltà stai mettendo in atto una tentata soluzione disfunzionale.
Quando la soluzione è il problema
Il concetto di Tentata Soluzione Disfunzionale è stato elaborato intorno agli anni ’70 dal Mental Research Institute di Palo Alto.
Questo gruppo di terapeuti si mise a studiare cosa fanno le persone quando devono affrontare un problema: ovviamente, cercano un modo per risolverlo.
Essi si accorsero, però, che spesso è proprio ciò che facciamo per migliorare una situazione a mantenerla uguale, se non addirittura a peggiorarla!
“Ma perché dovrei continuare a ripetere un comportamento che non mi aiuta?” ti starai chiedendo.
Perché la nostra mente funziona in modo schematico! Quindi, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un problema e dobbiamo trovare una soluzione, tendiamo ad avere comportamenti che in passato hanno funzionato, generalizzandoli. Questo permette un gran risparmio a livello di energie cognitive: è molto più facile utilizzare un vecchio stratagemma che si è rivelato funzionale piuttosto che tentare nuove strade. (Nardone, 2013)
Schemi troppo rigidi
Il problema nasce quando la soluzione che in passato ha funzionato non si adatta alla situazione presente e non risolve il problema.
Che facciamo in quel caso?
Crediamo di non aver insistito abbastanza, di non aver applicato la soluzione nelle giuste dosi e quindi reiteriamo l’applicazione degli stessi schemi rigidi senza interrogarci sulla loro reale efficacia. Col fine di mantenere le cose come stanno, o di peggiorarle. (Watzlawick et al. 1974)
Facciamo un esempio
Maria teme i luoghi affollati, quindi li evita o, se proprio deve andarci, chiede di essere accompagnata.
Evitare e affidarsi all’aiuto altrui sono tentate soluzioni disfunzionali tipiche di chi soffre di stati ansiosi.
Evitare la situazione ansiogena avrà un effetto all’apparenza tranquillizzante per Maria. Dall’altra, però, è come se si stesse inviando da sola il messaggio che alcune situazioni sono troppo grandi per lei, o troppo minacciose. Allo stesso modo, chiedendo l’aiuto altrui, si racconterà di non essere in grado di potercela fare da sola.
Replicando queste soluzioni, che all’apparenza la preservano dagli stati d’ansia tanto temuti, Maria non fa altro che accumulare tensioni e messaggi negativi, con l’esito di esacerbare il suo problema.
Cosa fare quindi?
Quando le circostanze cambiano, è necessario adattarci e creare nuovi modi di affrontare le situazioni. Applicare vecchie soluzioni a nuovi problemi può venire spontaneo. Quando però notiamo che le modalità con cui affrontiamo la situazione non la migliorano, è bene interrogarsi sulle soluzioni che si stanno usando, per bloccare quelle disfunzionali e sostituirle con altre più efficaci.
Il team di Onesession è composto da psicologi formati in Terapia a Seduta Singola, che possono aiutarti ad individuare queste soluzioni disfunzionali e a trovare delle strategie di risoluzione del problema più adeguate.
Da questo mese di settembre, per un periodo limitato, ogni martedì dalle 18 alle 20 i terapeuti del nostro team One Session terranno degli incontri gratuiti aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori informazioni https://www.onesession.it/
Riferimenti bibliografici
Nardone (2013), Psicotrappole, Ponte delle grazie
Watzawick, J.H. Weakland, R. Fisch (1974), Change, sulla formazione e la soluzione dei problemi, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.

La paura dell’aereo e la Terapia a Seduta Singola.
Sai che cose’è l’aereofobia? E’ il termine che definisce la paura di volare in aereo (fear of flying) a causa di uno stato di ansia significativo.
Si configura o come una fobia – una paura irrazionale e persistente, verso una situazione specifica che in questo caso è la condizione di dover prendere l’aereo- o potrebbe manifestarsi come una paura piuttosto intensa ma comunque gestibile.
Hai paura di volare?
Non ti preoccupare, non sei il solo a sperimentare questo disagio, ma tanti soffrono di questo problema.
Perché si ha paura dell’aereo?
Non c’è una risposta univoca.
Sicuramente volare è una condizione estranea all’essere umano e di per sé, spaventosa.
Bisogna considera che l’aereo, per quanto sicuro, è un mezzo dal quale una volta saliti non si può più scendere, se non al termine del viaggio.
- C’è chi soffre di claustrofobia e di conseguenza ha paura di volare perché si trova in un mezzo chiuso.
- Un esperienza traumatica vissuta sull’aereo ha cristallizzato la paura per il mezzo.
Le cause possono essere tante ma rimane il problema che chi ha paura dell’aereo ha difficoltà nel programmare un viaggio o a farlo fino a raggiungere i casi estremi di fobia dove l’aereo viene evitato del tutto.
Paura e fobia: sono la stessa cosa?
No. La paura è un emozione fondamentale, utile all’essere umano come campanello di allarme per i pericoli esterni. Tuttavia da una semplice paura fisiologica può trasformarsi in una paura persistente e pervasiva, che invalida il normale svolgimento di vita della persona: in questo caso diventa fobia, una paura specifica e irrazionale.
C’è chi, nonostante la paura, prende comunque l’aereo, chi ricorre a tentate soluzioni come: rituali propiziatori prima del viaggio, distrattori (musica, libri, pc..), la compagnia delle persone (non partono mai da soli), viaggi brevi e dilazionati nel tempo, e nei casi più resistenti l’uso dei farmaci.
Chi invece prende l’aereo solo quando strettamente necessario – per lavoro- e chi lo evita del tutto perché sa che potrebbe avere un attacco di panico se costretto a prenderlo.
Non prendere più l’aereo o prenderlo con grandi difficoltà e disagi pervasivi, significa rinunciare a una vacanza, a rendersi disponibile per un viaggio di lavoro, ad andare a trovare dei parenti, a un trasferimento, a vedere il mondo e essere costretti a usare mezzi più scomodi, meno sicuri e che impiegano molto più tempo.
Insomma, tutta una serie di svantaggi che sono sicura non sei fino in fondo felice di accettare.
Lo sai che è possibile risolvere il problema in tempi brevi?
Come superare la paura dell’aereo?
Chi vola, lo sa, che l’aereo è considerato da sempre –secondo le statistiche- come il mezzo più sicuro; sono più frequenti gli incidenti in macchina, in treno o in nave rispetto a quelli in aereo.
Eppure immagino che tu è proprio dell’aereo che hai più paura mentre i restanti mezzi, come la macchina, che usi tutti i giorni, non ti spaventano.
Chissà, forse in macchina hai la sensazione di avere il pieno controllo in quanto conducente – per quanto illusoria sia- mente l’aereo è un mezzo su cui sei passeggero.
Se hai paura dell’aereo la per prima cosa cerchi rassicurazione:
- chiedi aiuto alle persone intorno a te, ne parli, ti sfoghi e ti lamenti. La rassicurazione non funziona però. Quando ne parli, immagino che sul momento ti senti meglio, ma dopo? Funziona? Questo perché in realtà la rassicurazione alimenta l’ansia, rendendo la paura più reale e confermando il fatto che fai ad avere paura.
- La seconda cosa che fai è cercare spiegazioni razionali e logiche: sai che è più facile morire in macchina che in aereo, che è il mezzo più sicuro su cui viaggiare, che è attrezzato per affrontare lunghi viaggi e turbolenze. La razionalità tuttavia non risolve il problema ma colma solo una lacuna e aumenta la consapevolezza personale: agisce infatti su una paura irrazionale e di conseguenza il suo effetto è limitato.
- Infine, decidi di evitare di prendere l’aereo: Inizialmente questa tentata soluzione sembra funzionare poi, evitando costantemente, peggiori la situazione. Questo accade perché evitando confermi che la situazione è realmente pericolosa e perdi fiducia nelle tue capacità personali.
Nardone afferma “La paura evitata diventa panico, la paura guardata in faccia diventa coraggio”.
Pensi di non farcela?
Puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La terapia a seduta singola è utile per ottenere vantaggi anche in una sola seduta con lo psicologo, soprattutto per questo tipo di paure che si risolvo in tempi brevi attraverso l’individuazione dell’obiettivo da raggiungere e l’individuazione delle tue risorse.
Sul sito di www.onesession.it, è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati.
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Evangelisti, L. (2014). Mai più paura di volare. Come vincere per sempre la fobia dell’aereo. Milano: Feltrinelli.
Nardone G.,1993 “Paura, panico, fobie”, Ponte alle Grazie, Milano
Nardone G., 2000 “Oltre i limiti della paura”, Ponte alle Grazie, Milano Nardone G., 2003
Cannistrà F, Piccirilli F. (2018) terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psycometrics