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Le ferite (invisibili) dell’autolesionismo

Cos’è l’autolesionismo?

Scena: un ragazzo di 15 anni in bagno al piano di sopra, i genitori in salotto con la tv accesa. Il ragazzo si alza le maniche della felpa, toglie il polsino che usa per giocare a basket e apre il mobiletto. Prende una lametta e si taglia.

Sul volto di chi legge sarà comparsa un’espressione di dolore o paura, ma le ricerche ci dicono che il fenomeno dell’autolesionismo è sempre più diffuso.

Attenzione, però, non tutti i fenomeni sono uguali.

Nel dettaglio, qui si parla di autolesionismo non suicidario, che nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5) tale fenomeno è definito Not Suicidal Self Injury (NSSI).

Alla base del gesto autolesivo, quindi, non c’è intenzione suicidaria.

Nel DSM-5, leggendo i criteri diagnostici, emerge che tra gli scopi dell’autolesionista possono rientrare quello di ottenere sollievo da una sensazione o da uno stato cognitivo negativo, risolvere una difficoltà interpersonale o anche la ricerca da parte dell’autolesionista di una sensazione positiva (APA, 2014).

L’autolesionismo è inoltre associato ad uno o più dei seguenti sintomi:

  • Difficoltà interpersonali, stati di ansia, tensione e rabbia precedenti alla condotta autolesiva.
  • Preoccupazione difficilmente controllabile riguardo al gesto autolesivo che si intende attuare.
  • Pensieri autolesivi presenti anche quando la condotta autolesiva non viene agita.

L’autolesionista, quindi, vive una condizione di difficoltà che cerca di risolvere.

Non è possibile isolare un’unica causa poiché si tratta di elementi estremamente soggettivi che possono spaziare da difficoltà che non si riescono a gestire a problematiche interpersonali che possono riferirsi ai differenti sistemi sociali in cui la persona è inserita: vita familiare, gruppo dei pari, società.

Qual è la fascia d’età più colpita e quali sono i comportamenti autolesivi più frequenti?

Torniamo alla descrizione della scena iniziale, il ragazzo ha quindici anni.

È tra i giovani adolescenti, infatti, che il fenomeno è maggiormente diffuso.

I dati sull’incidenza dell’autolesionismo ci rivelano che la fascia d’età più colpita va tra gli 11 e i 14 anni.  In Italia le ricerche su soggetti non clinici stimano che l’incidenza del fenomeno varia tra il 13% e 41,5% negli adolescenti senza la predominanza di uno dei due generi (Di Pierro et al., 2012).

Ricerche dimostrano, infatti, che sempre più adolescenti presentano questa tipologia di comportamenti, e che, tra essi, sono frequenti i casi di gesti autolesionistici condotti in modo ripetuto.

Qui occorre, una ulteriore precisazione, perché c’è una differenza tra autolesionismo occasionale e autolesionismo reiterato.

Lo stesso DSM-5 prevede per la diagnosi che la persona abbia compiuto in un anno almeno 5 condotte autolesive che, è bene ribadirlo, non abbiano generano ferite tali da mettere a rischio la vita della persona.

L’atto lesionista può assumere differenti forme, le più diffuse delle quali sono procurarsi ferite con un oggetto affilato (cutting), provocarsi bruciature o ustioni (burning), marchiarsi con oggetti roventi (branding) ma anche graffiarsi, colpirsi e rallentare volutamente la guarigione di una ferita.

L’autolesionismo ai tempi del Web

Questo fenomeno, fino a qualche tempo fa, era meno conosciuto e praticato.

Nell’ultimo decennio con il boom dei social network anche questo tema ha trovato il suo spazio nel mondo digitale, divenendo così sempre più conosciuto.

La velocità con la quale oggi è possibile divulgare informazioni sul tema ha rappresentato, a conti fatti, un’arma a doppio taglio.

Da un lato sono nati numerosi siti informativi di auto-aiuto (self-help) oppure volti a reindirizzare ad un supporto professionale, dall’altro sono aumentati i siti o le pagine social che stimolano il lettore ad attuare gesti autolesivi. I messaggi sono ambigui, violenti e contagiosi anche se, “ufficialmente” presentati come iniziative volte a contrastare il fenomeno (Boyd et al., 2011).

I risultati dimostrano quanto il “web” generi “impatti reali” nella vita dell’autolesionista: se da un lato è stato dimostrato che la partecipazione a gruppi di supporto online possa diminuire la frequenza e la severità delle condotte autolesive.

L’accedere a contenuti che stimolano la conoscenza di nuove forme di autolesionismo o la condivisione dei gesti auto-inflitti può radicare maggiormente il fenomeno finendo per normalizzarlo e rinforzarlo.

Se nelle statistiche globali, come detto, il fenomeno investiva ugualmente i generi, non è così per il mondo del web.

Sono infatti le ragazze tra i 12 ed i 20 anni ad usare principalmente internet per parlare del tema, con contenuti che spaziano dalla descrizione dettagliata dei propri atti autolesivi alla pubblicazione di foto e video (Niwa e Mandrusiak.;2012).

L’aggregazione di simili contenuti, l’immedesimazione nelle storie dell’altro o la vista di immagini di ferite “simili alle mie” non fanno altro che rafforzare l’agire del lettore che si sentirà compreso.

Quali sono le cause?

Come già sottolineato, non c’è un unico elemento scatenante.

La condizione è estremamente soggettiva.

Quello che è certo e che l’autolesionista viva una condizione di disequilibrio personale ed il più delle volte sono restii alla richiesta d’aiuto.

Centrale, tuttavia, è che l’atto autolesionista rappresenta, di per sé, un gesto che la persona compie perché vive una condizione di malessere.

Non è funzionale alla “soluzione” del problema ma in qualche modo a “lenire” lo stato di difficoltà cognitiva ed emozionale che vive.

Non esistono quindi “ricette” per risolvere comportamenti autolesionistici, perché essi vanno affrontati sulla base delle esigenze e delle difficoltà che spingono la persona ad attuarli.

Di certo, sia che tu stia vivendo questa condizione in prima persona, sia che tu abbia il dubbio che qualcuno a te vicino attui condotte autolesive e credi di aver bisogno di confrontarti con un professionista, fallo.

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Riferimenti bibliografici

A.P.A. American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina, 2014.

Di Pierro, R., Sarno, I., Perego, S., Gallucci, M., Madeddu, F. (2012). Adolescent nonsuicidal self-injury: the effects of personality traits, family relationships and maltreatment on the presence and severity of behaviours. Eur Child Adolesce Psychiatry.

Boyd, D., Jenny, R., Leavitt, A. (2011). Pro-self-harm and the visibility of youth-generated problematic content. I/S: A Journal of Law and Policy for the Information Society.

Niwa, K.D., Mandrusiak, M.N. (2012). Self-Injury Groups on Facebook. Canadian Journal of Counselling and Psychotherapy.

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